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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2014 alle ore 11:15.
L'ultima modifica è del 26 settembre 2014 alle ore 11:52.

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Il 29 giugno 2014 – primo giorno di Ramadan del 1435 per chi preferisce il calendario islamico a quello gregoriano – i leader dello Stato islamico dell'Iraq e di al-Sham (il Levante), meglio conosciuto con l'acronimo inglese di Isis, hanno pronunciato per la prima volta in pubblico una parola che per l'occidentale medio vuol dire poco, ma che per certi musulmani devoti vuol dire tutto. La parola in questione è "califfo".

Il proclama dell'Isis quel giorno ha formalmente tagliato via le ultime due lettere dell'acronimo (ora l'organizzazione è nota semplicemente come lo "Stato islamico") e ha dichiarato Abu Bakr al-Baghdadi, nato Ibrahim ibn Awwad ibn Ibrahim ibn Ali ibn Muhammad al-Badri al-Samarrai, califfo di tutti i musulmani e principe dei credenti.Per i musulmani di una certa tendenza ultra-anticheggiante, questi titoli non sono mera nomenclatura. L'uso meticoloso del linguaggio e l'aderenza quasi pedantesca alla propria interpretazione del diritto islamico fanno dell'Isis uno strano nemico, feroce e inflessibile, ma anche erudito e prevedibile. Lo Stato islamico è ossessionato da parole come "califfo" (khalifa) e "califfato" (khilafa) e notizie e post sui social media provenienti da fonti interne all'Isis hanno descritto militanti che scandivano esaltati «Il califfato è fondato!».

L'immagine e la propaganda dello Stato islamico sono basate interamente sull'emulazione dei primi capi dell'Islam, in particolare il profeta Maometto e i quattro "califfi ben guidati", che governarono i musulmani dalla morte di Maometto, nel 632, fino al 661. Sotto di loro, il regno dell'Islam, partendo da origini umili e modeste, si propagò come inchiostro versato su un foglio, fino agli angoli più lontani del moderno Iran e alla costa della Libia. I musulmani considerano quel periodo un'età dell'oro e alcuni, i cosiddetti salafiti, ritengono che i metodi militari e politici dei governanti e dei guerrieri di quell'epoca (barbari per i parametri odierni, ma accettabili allora) meritino di essere riportati in vita. Di qui la passione dell'Isis per decapitazioni, lapidazioni, crocifissioni, schiavitù e "dhimmitudine" (la pratica di imporre una tassa a chi rifiuta di convertirsi all'Islam). Altri musulmani hanno romanticizzato l'epoca dei primi califfi, ma lo Stato islamico, avendo occupato un vasto territorio e governandolo da oltre un anno, è più credibile di qualunque altro movimento jihadista recente quando sostiene di esserne l'erede. Ha creato un paradiso intriso di sangue che gruppi come al Qaida potevano contemplare soltanto come un sogno remoto. «C'è una convinzione mistica per cui se fondi il califfato nel modo giusto i musulmani verranno a te e tutto andrà al suo posto», dice Fred Donner, studioso dei primi secoli dell'Islam all'Università di Chicago. Ed è proprio questa promessa di espansione virtuosa e inesorabile ad aver attirato reclute da tutto il mondo, non soltanto da nazioni vicine devastate dalla guerra, ma anche da Inghilterra, Australia e Francia.

Insieme, hanno dato vita alla più mostruosa associazione di rievocatori storici di tutti i tempi. La parola khalifa significa "successore" (di Maometto) e, in quanto tale, un califfo legittimo può pretendere la devozione di tutti i musulmani. Nella storia, però, gli aspiranti califfi hanno sempre dovuto soddisfare alcune condizioni. Il candidato (necessariamente un uomo) dev'essere musulmano, adulto, devoto, sano di mente e fisicamente integro. Avendo fra i suoi compiti, in linea teorica, quello di condurre i musulmani in battaglia, se gli mancasse un arto o fosse malaticcio sarebbe automaticamente escluso dalla carica. Deve anche discendere dalla tribù dei Quraysh della penisola araba, requisito che riveste grande importanza nel caso del califfo attuale. Dopo i primi quattro califfi – il cui regno è ricordato dall'Isis come un periodo di solidarietà fra musulmani, anche se tre di essi morirono di morte violenta – regnarono dinastie di califfi sunniti a Damasco (gli omayyadi, 661-750), in Iraq e in Siria (gli abbasidi, 750-1258) e a Istanbul (gli ottomani, 1299-1924). Via via che l'Islam invecchiava, la carica di califfo fu ricoperta da uomini tutt'altro che esemplari. Nel periodo ottomano diventarono figure di secondo piano, di facciata, mentre tutte le decisioni importanti venivano prese da governanti militari chiamati "sultani". L'ultimo califfo ottomano, Abdülmecid II, fu cacciato dal laico Mustafa Kemal Atatürk, e non reagì raccogliendo un esercito di fanatici vendicativi, ma si ritirò a Parigi e trascorse la vita curando la propria barba e dipingendo nudi. Non sappiamo quali siano i califfi storici più venerati da Abu Bakr al-Baghdadi, che governa con il suo nome di nascita come califfo Ibrahim. Per lui, gli imbelli esteti del periodo ottomano probabilmente nemmeno contano come califfi (quel rammollito di Osama bin Laden invece verosimilmente li considerava legittimi, visto che nelle sue prime dichiarazioni lamentava la loro caduta). Al-Baghdadi sembra avere un debole per il califfato abbaside. Gli abbasidi governavano soprattutto da Baghdad, dove il califfo attuale avrebbe preso un dottorato in diritto islamico. E Harun al-Rashid, probabilmente il più grande fra i califfi abbasidi, per un breve periodo spostò il califfato a Raqqa, la città siriana eletta capitale dello Stato islamico. Dopo che i combattenti dell'Isis hanno invaso Mosul e massacrato una dozzina di imam, al-Baghdadi ha condotto le preghiere del venerdì nella moschea principale vestito completamente di nero (il colore dei califfi abbasidi), come se gli ultimi otto secoli non ci fossero mai stati. I califfati di un tempo adattavano a proprio vantaggio le regole e selezionavano uomini corrotti o mondani per le posizioni di potere. Qualcuno non teneva nemmeno conto del requisito della discendenza dai Quraysh, o alla bisogna falsificava il pedigree. Ma lo Stato islamico su cose del genere non è disposto a transigere. Il sermone di al-Baghdadi a Mosul ha dimostrato che padroneggia bene l'elaborata retorica dell'arabo classico,quindi le sue credenziali religiose sono confermate. E la sua discendenza dai Quraysh è impossibile da contestare. Molti iracheni, Saddam Hussein compreso, si vantano di discendere da questa tribù, e visto che nessuno sa molto di al-Baghdadi – di certo non abbastanza da poter ricostruire a ritroso il suo lignaggio fino a quattordici secoli fa, in una società che ancora non conosceva la scrittura e che si era sviluppata a millecinquecento chilometri di distanza – è difficile (e all'interno dello Stato islamico probabilmente fatale) sostenere che stia mentendo. Le interpretazioni dei requisiti per stabilire la legittimità di un califfo legittimo sono talmente approssimative che stupisce che siano stati proclamati così pochi califfati dal 1924 a oggi. Ma i musulmani radicali sono riluttanti a evocare la parola, per ragioni pratiche e puriste al tempo stesso. «Se torniamo indietro fino agli anni Settanta, vediamo che tutte le organizzazioni jihadiste si definiscono "gruppi" o "fronti"», dice Thomas Hegghammer, che studia il jihadismo per conto del governo norvegese. Per trovare il primo "emirato" jihadista (l'emirato è uno Stato guidato da un emiro, un principe laico), bisogna arrivare alla fine degli anni Ottanta.

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