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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2014 alle ore 07:02.

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Quest'autunno sono in uscita tre film molto diversi tra loro, che ci dicono che forse il cinema americano sta cercando di rinnovarsi. Per i colossal commerciali degli studios come per le piccole ma ambiziose produzioni indie sembra che la chiave per rivitalizzare un'industria da molti accusata di essere rimasta indietro rispetto alla freschezza delle serie TV sia quella di scambiarsi le risorse e prendere qualcosa l'uno dall'altro.

Gardians of the Galaxy (nelle sale italiane il 22 ottobre) è una maxi-produzione dei Marvel Studios amata da pubblico e critica americani in modo viscerale e a sorpresa: ha infatti puntato un budget altissimo su un gruppo di supereroi oscuri (tra cui un albero antropomorfo spaziale e un procione stratega ed esperto di armi da fuoco), motivo per cui era atteso al varco dai critici come prossimo fiasco stile Howard e il destino del mondo. Non potendo contare su un cast di stelle o sul ruolo nell'immaginario popolare di personaggi come gli Avengers (Iron Man, Thor, Capitan America...), il film inietta nello space movie uno humour adulto citazionista e una colonna sonora tarantiniana.

Nelle stesse settimane la stampa americana lodava anche un film piccolissimo capace di incassare quasi sette volte il suo budget, 25 milioni in tutto il mondo a fronte dei 4 che è costato: Boyhood di Richard Linklater (in Italia il 23 ottobre) è una parabola familiare girata per una settimana all'anno tra il 2002 e il 2013 dallo stesso fedelissimo cast (Ethan Hawke, Patricia Arquette, la figlia del regista Lorelei Linklater e l'esordiente Ellar Coltrane), dove i legami e gli amori si fanno e si disfano mentre gli attori crescono, cambiano, invecchiano. Nella sua lenta progressione di eventi minimi il film mette lo spettatore di fronte alla straordinaria mutazione dei personaggi: un trucco così potente che è l'equivalente indie di un effetto speciale da grande colossal.

Boyhood racconta la storia di un cinema che resta artigianale, mentre Guardians of the Galaxy rappresenta tutto quello che è cambiato in quegli stessi dodici anni in cui il film di Linklater lievitava naturalmente: il primato del digitale, il 3D, la diffusione delle franchise e il trionfo della serialità. In questo arco di tempo la Marvel Studios ha prodotto a getto continuo pellicole intrecciate tra loro, con tale sicurezza che ormai si annuncia il giorno esatto d'uscita di un nuovo capitolo anche a distanza di cinque anni. A loro si deve il trionfo dell'esperienza cinematografica come fidelizzazione che agisce sulla familiarità: è interessante che Guardians of the Galaxy sia stato invece apprezzato per il nuovo che ha introdotto nella felice routine Marvel; potrebbe essere solo una deviazione occasionale, ma l'introduzione in questo universo commerciale di registi off come James Gunn, che viene dalla celebrata casa di produzione di serie Z Troma, fa sperare che sia l'inizio di un nuovo approccio ai blockbuster di matrice fumettistica.

Infine, il 6 novembre esce Interstellar di Christopher Nolan, che con la sua trilogia di Batman è diventato il più influente autore di produzioni ad altissimo costo. Nolan è l'unico regista che oggi riesce ad avere il budget di Guardians of the Galaxy ma per realizzare progetti nati da sceneggiature originali, privi di mitologie pregresse, non sequel, non prequel. L'ha fatto nel 2010 con Inception, e lo ripropone quest'anno con Interstellar, un film dalla trama tenuta segreta in modo kubrickiano, di cui sappiamo solo che racconta della lenta morte della Terra e di astronauti che devono viaggiare attraverso tunnel spaziotemporali per trovare nuovi mondi da colonizzare. I trailer ci mostrano Matthew McConaughey che lascia la famiglia per viaggiare nello spazio profondo, e sia i paesaggi del nostro mondo morente che le lande siderali su cui atterrano gli astronauti hanno quell'epica e quella cura dei dettagli tipiche del cinema di Nolan, che con i suoi Batman ha introdotto il realismo di strada nel cinema dei supereroi.

Nolan è tra i pochi che continua a promuovere l'uso della pellicola cinematografica, e ritiene il digitale una miglioria non qualitativa ma produttiva. Lui invece continua a parlare di ricchezza delle inquadrature e della necessità di mantenere la distinzione tra la visione nelle sale e l'home entertainment, pena la perdita della percezione di cosa può davvero essere un film. «Come flussi di dati», ha scritto di suo pugno sul Wall Street Journal, «i film vengono assimilati a altri prodotti sotto il concetto riduttivo di “contenuti”, un gergo che finge di elevare la creatività, ma in realtà banalizza differenze di forma fondamentali sia per il pubblico che per chi crea».

Artigiano milionario, si trova nella posizione unica di indirizzare il mercato cinematografico mentre cerca di difenderlo da mutazioni nocive, ispirandosi alla generazione del secondo novecento dei grandi narratori popolari americani - da Lucas a Kubrick. Ogni suo film è un atto di fiducia da parte degli studios, che fanno di tutto per accontentarlo: Interstellar è una produzione congiunta Warner Bros-Paramount Pictures, e l'insolita collaborazione tra studios rivali è la testimonianza di quanto Nolan sia ancora apprezzato nelle stanze dei bottoni. Inception ha premiato la sua voglia di proporre un cinema di massa diverso, il prossimo novembre il box office dirà se Interstellar terrà in vita la possibilità di realizzare grandi produzioni che affrontino storie nuove, libere dalla condanna a celebrare il già conosciuto.

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