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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2014 alle ore 07:03.

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Le liti e le provocazioni sono all'ordine del giorno. La campagna I need feminism because è fatta di ragazze (ma anche ragazzi) che reggono un cartello scritto a mano in cui spiegano perché c'è bisogno del femminismo oggi: ironia, ideologia, frasi fatte, molti prati verdi alle spalle. La risposta è stata I don't need feminism because, ragazze con il loro bravo foglio in mano che se la prendono con le donne che pretendono di parlare in nome di tutte le altre: anche qui, battute bislacche, pretese filosofiche, vita quotidiana, molte unghie con lo smalto nero ed espressioni ammiccanti. Quest'ultima campagna fa parte della più vasta Women Against Feminism, che da mesi sta indignando l'America, finendo per essere battuta sul campo (dell'ironia) dai “gatti confusi”: foto di gatti con cartelli scritti a mano in cui i felini spesso addormentati “spiegano” perché non hanno bisogno del femminismo, e perché la gattocrazia non potrà mai essere messa a tacere, nemmeno «da tutte le vostre vagine».

È un po' come la discussione sul colore rosa – è femminista o antifemminista? – che compare nella raccolta di saggi di Roxane Gay, Bad Feminism, in cui la scrittrice spiega perché vorrebbe schiaffeggiare fortissimo Quentin Tarantino per Django Unchained, che cosa c'è di nuovo nelle ragazze della serie tv Girls, perché un orgasmo finto ti salva la vita e perché ballare ascoltando Blurred Lines è bellissimo. «Sono una bad feminist perché sono imperfetta e umana», scrive la Gay, sapendo che la sisterhood non approverà, perché non c'è nulla di più pericoloso del deviare dall'ortodossia del movimento.
Ma la “non omogeneità” dà il carattere a questo nuovo femminismo, il suo merito è comunque quello di aver riportato le donne – e i maschi – a discutere delle questioni delle donne. E in questo chiacchierare di sesso su Whatsapp (è tradimento? va tollerato?) o di pietosi appuntamenti dal capo del personale per implorare un'aspettativa non remunerata, risuona solenne la provocazione di Simone de Beauvoir, scritta quando nemmeno un reggiseno era ancora stato bruciato: «Ho sempre esitato a scrivere un libro sulle donne. L'argomento è irritante, soprattutto per le donne, e non è nuovo. Abbastanza inchiostro è stato versato sui battibecchi riguardanti le donne, e forse non dovremmo parlarne più». Era il 1949, oggi non si parla d'altro.

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