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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2014 alle ore 14:28.
L'ultima modifica è del 01 ottobre 2014 alle ore 16:26.

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Negli anni Settanta c'erano il Derby e le radio libere, negli Ottanta le tv private. Oggi la principale vetrina per giovani creativi o aspiranti tali si chiama YouTube. E come il Derby, le radio libere e le tv private dei tempi belli un po' funziona: magari non ci «campi» la famiglia ma, se hai un seguito, qualcuno prima o poi si accorgerà di te. E magari ti proporrà di fare televisione per un network nazionale o di pubblicare un libro per qualche grossa casa editrice.

Pro e contro della vita da youtuber. Chi sono costoro? Se appartenete alla generazione dei nativi digitali la domanda è superflua: probabile che ne conosciate qualcuno, se non lo siete (o lo vorreste essere) direttamente voi stessi. Se avete 30 e più anni e magari il termine vi suona esoterico, sappiate che stiamo parlando dei produttori di contenuti creativi originali per la piattaforma di YouTube che, dal 2005 a oggi, ha a dir poco rivoluzionato la fruizione dei video sul web con un miliardo di persone che tutti i giorni si collegano e oltre 100 ore di filmati caricati a minuto da ogni angolo del pianeta. Qui da noi si contano 21 milioni di utenti, non più solo giovanissimi (il 39% degli italiani che lo frequentano ha tra i 18 e i 34 anni). Il cosiddetto «Tubo», nel 2006 entrato a far parte del perimetro di Google, è l'unica piattaforma social che può rappresentare una fonte di guadagno per gli utenti che caricano materiale originale. I soldi, ovviamente, arrivano dalle inserzioni pubblicitarie. E dove ci sono i soldi si sviluppano delle professionalità: essere considerato un utente «partner» da YouTube significa che pubblichi con costanza settimanale video con buone performance di traffico e hai un numero significativo di iscritti al tuo canale. Del tema, nelle scorse settimane, si è parlato al Festival della Rete organizzato a Rimini.

Il business del «Tubo»
Quanti soldi girano intorno al fenomeno? «A questa domanda – spiega Claudio Monteverde, communication manager di Google per lo Stivale – non è possibile rispondere in maniera esaustiva. I ricavi per i creator variano a seconda del mercato di riferimento e delle visualizzazioni totalizzate da ciascun video, a cui sono legate le entrate derivanti dagli annunci pubblicitari». A livello mondiale si contano un milione di partner di YouTube che ci guadagnano, ma sono soltanto qualche migliaio i canali con fatturati a sei cifre. Dal 2012 al 2013 i ricavi dei partner sono cresciuti del 60%, in alcuni casi addirittura triplicandosi. Paga la targettizzazione: i filoni più redditizi, al netto dei video musicali, sono gaming (lezioni e recensioni di videogiochi), fashion (tutorial su come vestirsi o truccarsi) e entertainment, ossia contenuti comici. Il canale partner con maggiori iscritti in assoluto è quello di PewDiePie, ragazzo svedese che in lingua inglese si occupa di videogame: più di 30 milioni di iscritti per lui. Qui in Italia il primato spetta a Favij, sempre a tema gaming, con oltre un milione e 100mila iscritti. Le ragioni della forbice? «Di sicuro – risponde Monteverde – incide la lingua: chi carica contenuti in inglese si affaccia sul mercato mondiale». La sfida del futuro, per i nostri youtuber, è probabilmente quella di produrre video nella lingua di Shakespeare. «Qualcuno – continua Monteverde – già l'ha fatto: la vicentina Marzia Bisognin lavora per esempio dall'Inghilterra con il nick CutiePieMarzia». Ripagata da 4 milioni di iscritti. Ah: per chi non lo sapesse è la compagna di PewDiePie.

Guida intergalattica per aspiranti youtuber
Il mercato italiano, tra barriera linguistica e digital divide, è molto più circoscritto. «Qui da noi – commenta Luciano Massa di Show Reel, tra i principali multi-channel network che nel Bel Paese gestiscono canali YouTube – ci sono migliaia di ragazzi che ci provano, ma quelli veramente professionalizzati che postano contenuti di qualità non saranno più di 30». Si parte per gioco, come in qualsiasi altra parte del mondo: cominci a pubblicare con una cerca continuità, fai networking con altri youtuber, ti costruisci un seguito di pubblico e, «quando arrivi a 10mila visualizzazioni – spiega Massa – diventi interessante». È a quel punto che entrano in gioco network come Show Reel, ma anche Zodiak, Yam e Believe che ti intercettano, ti prendono in squadra, ti aiutano a migliorare i contenuti e a ottimizzare i guadagni. Per capirci: saranno loro a trattare con YouTube per conto tuo. La contropartita? «Ciascuno – risponde Massa – si regola a suo modo. Qualcuno prende una percentuale, noi di Show Reel no: ciò che arriva da YouTube è tutto dei ragazzi perché puntiamo a valorizzarli oltre il web, quando faranno radio, televisione o pubblicheranno un libro». Per arrivarci devi esplodere: negli Usa ti serve un video da 3 milioni di utenti, in Italia ne bastano 500mila. Sarà lì che gli «old media» - giornali e tv - si interesseranno a te. Consacrandoti.

Una paga da impiegato
Ma quanti soldi fa uno youtuber italiano? «Di solo YouTube – risponde Massa – qui da noi il migliore guadagnerà quanto un impiegato. Paghiamo la marginalità del Paese, ma per fortuna non sono rari i casi di “sconfinamento” sui media tradizionali». Tra i pionieri del genere, Guglielmo Scilla in arte Willwoosh che ha fatto cinema e radio, Frank Matano che ha collaborato con «Le Iene» e Cliomakeup che è sbarcata su Real Time con i suoi tutorial di trucco. «A me – racconta Daniele Doesn't Matter Selvitella, 27 anni, web designer professionista trasformatosi in un fenomeno comico da quasi 600mila iscritti – tra le altre cose è capitato di pubblicare un libro con Mondadori. Tutte esperienze interessanti, ma non credo abbandonerò mai il web che resta un formidabile spazio di libertà». Tra le fonti di guadagno può esserci anche il product placement «ma – spiega Alice AlicelikeAudrey Venturi, 24 anni, ex studentessa in architettura, oggi maestra di trucco per decine di migliaia di teenager - deve essere condotto all'insegna della più totale trasparenza, altrimenti rischia di ritorcersi contro la credibilità dello stesso youtuber».

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