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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2014 alle ore 08:16.

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«Caro Eduardo, eccoti finalmente per iscritto il film di cui da anni ti parlo. Mancano i dialoghi. Li scriverò entro il prossimo mese. Ma saranno dialoghi ancora provvisori, perché conto molto sulla tua collaborazione, anche magari improvvisata mentre giriamo». La lettera di Pasolini a De Filippo porta la data del 24 settembre 1975. Il film che non farà in tempo a girare è Porno-Teo-Kolossal, un progetto che il poeta aveva in mente da anni, con il titolo provvisorio, più morantiano e meno larsvontrieriano, di Re magio randagio (e il suo schiavo schiavetto), ma che aveva accantonato dopo la morte di Totò.
Il regista americano Abel Ferrara racconta gli ultimi giorni dello scrittore assassinato il 2 novembre 1975: la vita domestica e le tenerezze materne, la visita di Laura Betti reduce dal set croato di Miklós Jancsó, la cena veloce al Pommidoro con Ninetto Davoli da poco papà, la partitella, l'intervista a Furio Colombo (Perché siamo tutti in pericolo, titolo suggerito da Pasolini stesso), il viaggio notturno sull'Alfa bianca in compagnia di Pino Pelosi, l'aggressione, lo scempio, il cadavere. Sulla morte del poeta, Ferrara sposa la versione dell'imboscata omofoba, non quella del complotto politico, ma, diversamente da Marco Tullio Giordana (Pasolini, un delitto italiano) non è interessato all'indagine sul movente dell'omicidio. «Questo film – dice Ferrara – non è solo Pasolini-Roma1975. Per me potrebbe essere a New York-ieri notte, con un ricco e famoso su una bella macchina che a Brooklyn rimorchia ragazzi dominicani».
Ma le caste sequenze di vita familiare, gli sguardi malinconici di padre mancato e di figlio riuscito, i silenzi famelici e gli indugi che preparano il battuage vengono purtroppo incalzati dall'ambizione di Ferrara di girarlo lui il Porno-Teo-Kolossal, intrecciandone i frammenti con altri appunti (il rito delle fellatio sul pratone della Casilina, un ricevimento di notabili politici e religiosi corrotti) tratti dall'altro grande incompiuto pasoliniano, il romanzo Petrolio. Se di Ferrara abbiamo altrove apprezzato le visioni, le oscurità e i lampi, la sua mimesi pasoliniana ci appare, nonostante le intenzioni sincere, poco convincente.
Caro Eduardo, prosegue la lettera, «ho detto che il testo è per iscritto. In realtà non è così. Infatti l'ho dettato al registratore (per la prima volta in vita mia). Resta perciò, almeno linguisticamente, orale. Ti accorgerai subito, infatti, leggendo, di una certa sua aria un po' plumbea, ripetitiva, pedante. Passaci sopra». Non è facile, invece, passar sopra la penuria poetica che affligge il tentativo di Ferrara di ricostruire (pur se in piena fedeltà filologica) le scene del kolossal-progetto pasoliniano. Qui il regista americano finisce per arenarsi nell'improbabile, come nella sequenza troppo lunga in cui, per celebrare il giorno della fertilità, gay e lesbiche si accoppiano in coiti eterosessuali tra sgangherati cori apotropaici. Davoli e Scamarcio interpretano con poca convinzione le parti di Epifanio e Nunzio, rievocazione affettuosa ma stanca di Totò e Ninetto in Uccellacci e Uccellini. E come giustificare il loop dell'aria di Rosina che costringe la Callas a ripetere le stesse note sulle immagini del corpo massacrato di Pieruti (dolcissimo friulano vezzeggiativo materno) e del dolore di Adriana Asti, nei panni della madre, che ne piange il martirio come davvero Susanna Colussi era crollata ai piedi della croce nel Vangelo secondo Matteo?
Fare un film su Pasolini e la sua disperata vitalità, nella politica, nella poesia, nella sessualità, è un azzardo. Ferrara è stato coraggioso e Pasolini è comunque una calamita. Ma se ricorderemo questo film sarà soprattutto per la recitazione intelligente e priva di sforzo di William Dafoe, che del poeta ha colto la mitezza dei gesti, il tormento composto, la dolcezza carsica che poco si concede. Il resto lo affidiamo ai versi che Eduardo scrisse per l'«amico angelico» nel terribile giorno dopo: «Non li toccate quei diciotto sassi … messi a difesa di una voce altissima … Penserà il vento a levigarli, per addolcirne gli angoli pungenti; penserà il sole a renderli cocenti, arroventati come il suo pensiero; cadrà la pioggia e li farà lucenti, come la luce delle sue parole».
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