Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2014 alle ore 08:16.

My24

Chi ha avuto la fortuna di vedere e apprezzare Petrolini, Totò, i De Filippo, Charlie Chaplin, Danny Kaye e Tati, se ha visto anche Ferravilla, non può che metterlo al loro livello. Così scrive Attilio Bertolucci nel 1961, in una prefazione appassionata al Teatro di Ferravilla, allora edito da Garzanti. E subito azzarda: «...se non più in alto degli altri». Forse esagera. Ma lo fa con un amore che, di per sé, è misura dell'arte del maggior interprete e autore del teatro in milanese. Discendente «per via diretta da Carlo Porta, suprema espressione del realismo romantico lombardo», continua Bertolucci, Ferravilla ha incarnato lo spirito della sua città, «il più compiuto agglomerato urbano dell'Italia nel secolo decimonono. Che cosa c'era di più moderno, ma pure di più autoctono e tradizionale, di Milano, cento anni fa, da noi?». Oggi, 53 anni dopo queste parole colme di entusiasmo, e 98 dopo la morte di Edoardo Ferravilla, non molti ricordano ancora lui e i suoi personaggi, dal Gigione al Tecoppa, dal scior (sciur) Pedrìn al scior Pànera (quello che, costretto a un duello, si lamenta che il suo avversario si muova e non si lasci infilzare). Il suo teatro non era "scritto" in senso forte. Piuttosto, era una somma di canovacci, quasi alla maniera antica della commedia dell'arte e dei suoi improvvisatori. Era Ferravilla che dava loro vita comparendo in scena, e recitando a soggetto, replica dopo replica. «Quando sono truccato e faccio la mia apparizione sulla scena – racconta nelle memorie dettate al giornalista Renzo Sacchetti nel 1911 – lo spirito del personaggio che rappresento si impadronisce di me a tal segno da impedirmi assolutamente di ricordare che sono il misero, mortale Ferravilla».
Lo stesso valeva per il grande Totò, per la sua comicità che nasceva davanti alle platee della rivista, e che lì si sviluppava crescendo su se stessa (da una decina di minuti, lo sketch famoso dell'Onorevole Trombetta nel vagone letto finì per arrivare a più di un'ora). Quello che di lui oggi conosciamo ce lo ha conservato il cinema, soprattutto nei film più popolari e bassi, cioè meno legati a preoccupazioni d'autore. Nato nel 1846, 52 anni prima di Totò, e morto nel 1916, ancora agli albori dell'industria cinematografica, Ferravilla non ha avuto la stessa fortuna. O meglio, l'ha avuta solo per un tempo molto breve, nel 1914, quando la macchina da presa di Luca Comerio ne fissa la memoria in Ferravilla nelle sue più caratteristiche interpretazioni, oggi restaurato ed edito in dvd dalla Fondazione Cineteca Italiana di Milano.
Sottratti all'oblio, e alla precarietà ormai centenaria del nitrato d'argento, tornano dunque ben vivi alcuni personaggi ferravilliani: el maester Pastizza (Pastissa), con la sua patetica, insipiente infatuazione per la musica (preceduto da Ferravilla al trucco), lo sciocco (in milanese si direbbe ciula) Gustin Massinelli, prima alunno improbabile di La class di asen (la classe degli asini) e poi in vacanza, e infine Tecoppa, forse il più grande e certo il più noto. Di lui Ferravilla amava dire d'averne raccolto «gli elementi primi» all'inizio della sua carriera, a 19 anni, ispirandosi a Giovanni De Toma e alla sua Giocon de grapa.
Era, questo De Toma, «un curiosissimo tipo di fabbro-ferraio – racconta Ferravilla –, lavoratore non troppo istruito ma ricco d'ingegno naturale», che abitava e lavorava a Porta Magenta, e lì tra un colpo di martello e l'altro scriveva. Nel suo protagonista, aggiunge, riproduceva se stesso, a partire dai baffi incolti sempre umidi di grappa. Tecoppa, ricorda ancora, non era che il nomignolo del protagonista (il cui nome era invece Felice Marana), e stava per l'espressione milanese non proprio gentile Dio te coppa (Diu te cupa), Dio t'ammazzi. Anni dopo, attorno alla metà degli anni 70, Ferravilla torna al Tecoppa, e alla sua «anima canagliesca», prima con Duu Ors (dü urs, due orsi) e poi con I Prodezz del Tecoppa (i prudess del Tecupa, le prodezze del Tecoppa). Vestito con una lunga palandrana nera, un panciotto multicolore, pantaloni scuri o a scacchi e stracciati, il Tecoppa ha l'aria di reggersi a malapena in piedi. Quanto alla parola, per lo più ce l'ha rallentata e confusa dall'abitudine della gaìna, ossia della sbronza. Soprattutto, afferma Ferravilla, è «nemico del lavoro». E infatti, conclude con un colpo di ironia, «non fu accettato alla Camera del Lavoro». Ossia: viene criticato duramente dal giornale «Fascio operaio», che accusa l'attore d'aver voluto denigrare il socialismo mostrando al pubblico operai ubriaconi e triviali. E poco importa che, al contrario, per Ferravilla sia già dal tempo di De Toma l'immagine popolare dell'«uomo strisciante coi ricchi, superbo coi poveri».
Rivedendolo oggi nel piccolo film di Comerio, con il Massinelli e con il scior Pànera, siamo propensi a credere che alla Camera del lavoro di Milano qualcuno esagerasse, in quegli anni lontani. E che, al contrario, non esagerasse (almeno, non troppo) l'entusiasta Attilio Bertolucci nel 1961.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Luca Comerio, Tecoppa e altri personaggi di Edoardo Ferravilla, I tesori del Micc (Museo interattivo del cinema), dvd, € 6,50

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi