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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2014 alle ore 08:14.

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Bicek dovrà fare i conti con l'Europa il 17 dicembre: è uno dei tre finalisti del premio Lux - assieme a Ida di Pawel Pawlikowski e Girlhood di Céline Sciamma –, in cui i membri del parlamento europeo designano il miglior film dell'anno. Class enemy è entrato nella rosa, forte anche delle ottime recensioni ricevute l'anno scorso alla Mostra del cinema di Venezia, che hanno paragonato Bicek a Michael Haneke. «È un autore che amo moltissimo assieme a Cristian Mungiu, Ingmar Bergman, Krzysztof Kies´ lowski». Il prossimo lavoro, in uscita in gennaio, sarà invece un documentario, The family, in cui Bicek racconta la crescita di un ragazzo, Matej, ora 22 enne, da quando ne aveva quattordici. «È la lotta di un giovane, con piccoli precedenti penali, per una famiglia normale. La madre, come il padre ormai deceduto, è affetta da disturbi mentali. L'unico fratello è down». L'obiettivo di Matej è di tagliare i ponti con la famiglia originaria, che vive a Novo Mesto, nel Sud della Slovenia, paese natale anche di Bicek. «Ci ha provato due anni fa con una ragazza da cui ha avuto un figlio, ma dopo due mesi hanno rotto. Ora convive con una nuova fidanzata, trovata su Facebook».
Quali sono i confini etici nel piazzare la telecamera di fronte a individui così fragili e indifesi? «Loro si fidano di me. So che è una grande responsabilità e che questo film è difficile da fare e ancora più da mostrare. Non puoi fare commenti e non puoi intervenire. È un reality e i sentimenti sono veri, perché nessuno recita. È un documentario di osservazione, importante per capire le relazioni familiari, la socializzazione, che sono simili in tutte le famiglie». Questa volta Bicek non potrà dire di non aver girato un film politico.
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