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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2014 alle ore 08:34.

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Da movimento di massa, il sogno italiano è tornato a essere una nicchia per élites. Roba
per i Farinetti e i Cucinelli che la gente ascolta con simpatia quando tentano di rianimare il genius loci, ma senza crederci fino in fondo. Senza credere, soprattutto, che quelle storie di orgoglio e di innovazione, di radici e di ali, abbiano alcunché da spartire con le loro prospettive di vita o con il posto di lavoro del figliolo pluridiplomato. Su queste basi è sempre più difficile vendere al mondo il mito della modernità italiana. Ecco perché le campagne pubblicitarie delle case di moda riciclano le foto in bianco e nero degli anni d'oro.
Se una versione contemporanea del sogno italiano proprio non riesce a venir fuori, tanto vale attingere ai fondi di magazzino della nostalgia che un mercato ancora ce l'hanno. Tutti volevano assomigliare a Mastroianni nella Dolce vita. Ma chi vorrebbe fare la fine di Jep Gambardella nella Grande bellezza? Il problema della moda italiana sta tutto nel gap – estetico e culturale – tra le feste della Dolce vita e la tecno casareccia del bellissimo e tristissimo film di Sorrentino.

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