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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2014 alle ore 08:38.
L'ultima modifica è del 01 ottobre 2014 alle ore 08:40.

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Leppa Roskopp vive tra San Francisco, il Sudafrica e Tivat, dove ha comprato casa nel complesso di Porto Montenegro. Suo padre era di Trebinje, in Bosnia-Erzegovina, dove passava le estati da piccola. Oggi è alla guida di Misahara, maison di gioielli da lei disegnati (e che vedremo addosso a Rachel McAdams nel film Southpaw), fresca di apertura del primo flagship store proprio qui, nel fiordo dei Balcani.

Prima aveva solo corner, uno dei quali a Saint-Tropez: «I clienti sono stanchi dei soliti posti affollati. Vogliono scoprire luoghi con una cultura, dove ci siano cose esplorare. Come a Zanjice, sulla costa adriatica, dove ti cucinano il pesce che hai appena pescato. E poi è come stare in famiglia: altro che jet set, qui viene a riposarsi la gente che lavora». Già, nell'inesplorato Montenegro che non è ancora disponibile su Google Street View. Non ci sono fotografie né di Podgorica, la capitale, né di Tivat, dove c'è l'altro aeroporto. Appena qualcuna di Kotor (nell'ufficiale lingua locale «montenegrina-serbo-bosniaco-croata»: Cattaro in italiano), con le sue fortificazioni che si elevano a dominare l'ultimo scampolo di baia e le navi da crociera in manovra. Porto Montenegro, il grande investimento immobiliare che il magnate canadese dell'oro Peter Munk ha iniziato nel 2006 sotto l'egida dell'allora neonato governo (con investitori quali Lord Jacob Rothschild e Bernard Arnauld come compagni di strada), si trova proprio in questo cono d'ombra del XXI secolo.

Tramutato in valore per chi cerca privacy, discrezione. Come quell'importante banchiere italiano di cui nessuno dice nulla. Questa, come ci ripetono all'infinito, è una «paparazzi free zone»: 287 milioni di euro di investimento, 400 posti barca (850 entro il 2018, di cui 250 per superyacht), 130 appartamenti in quattro residence (tutti venduti a un prezzo medio di 5.563 euro al metro quadrato già a marzo 2013) e 48 in arrivo nell'estate 2015 nel nuovo Ksenija, 45 negozi (con marchi come Italian Independent, Carolina Bucci, Heidi Klein), ristoranti, piscina, nightclub, il Naval Heritage Collection Museum con Hero, il sottomarino visitabile, una filiale della Knightsbridge School International, una galleria d'arte temporanea (la Mead Gallery di Londra) che espone Damien Hirst e Marc Quinn. Ultimo arrivato, inaugurato lo scorso mese, l'hotel Regent. È un villaggio costruito e tirato a lucido con palme enormi come quelle del lungomare storico di Tivat, ma fatte arrivare direttamente dall'Uruguay. Nelle ore serali, turisti e gente del posto si uniscono nel rito dello struscio. Molti russi, molti inglesi, americani, maltesi, australiani, qualche italiano.

Chi ha una casa può permettersi anche il ristorante La piazza con chef pugliesi e prezzi milanesi; per gli altri va bene una birra al Ponta Beach Bar, sulla spiaggia omonima, che costa la metà. I prezzi a Tivat sono comunque alti per il Montenegro, dove gli stipendi si aggirano sui 480 euro al mese. A Porto Montenegro sono più elevati. Come gli standard offerti. Il giovedì sera, dopo il barbecue allo Yacht Club, la comunità anglofona rimane a sorseggiare una “Nik”, la locale birra Nikšićko, e a sognare che l'America's Cup passi di qui («Ci sono già stati contatti per ospitare le World Series. Ci vuole un milione di euro», dicono). Molti lavorano nelle aziende edili che stanno ampliando la marina e gli appartamenti. Nel vicino Lido Rooftop, il ristorante che dà sulla piscina infinity sul mare, David Saint-Andre intrattiene alcuni ospiti libanesi suggerendo accanto alla mozzarella di bufala italiana e a (molte) altre prelibatezze d'importazione, il prosciutto crudo affumicato locale e il vino rosso Vranac Arhonto. David è francese, ha lavorato prima al Mortons di Londra e ora gestisce la piscina (ingresso giornaliero 45 euro), il ristorante e il nightclub aperto quest'estate: Scaramanga (smart dress code richiesto, tavoli tra i 250 e i 500 euro a serata). Quello che Porto Montenegro ha diffuso a Tivat è un multi-kulti galvanizzante per un Paese che dopo il non allineamento jugoslavo ha sofferto il destino di isolamento condiviso con la Serbia fino al 2006, anno dell'indipendenza. «Abbiamo portato per la prima volta gli standard internazionali in Montenegro», è la parola d'ordine. Con tutte le difficoltà del caso. Lo chef singaporeano dell'hotel Regent inaugurato in agosto – e che può annoverare già Dita Von Teese tra gli ospiti – ha chiesto di avere anche zucca d'estate e fragole d'inverno. E i locali produttori si sono trovati in difficoltà: qui si segue la stagionalità.

Il mercato di Kotor è pieno di gente con un banchetto che sembra vendere la verdura del proprio orto. Chilometro zero puro. Gli standard internazionali richiedono di sciacquare i panni nella globalizzazione prima di approdare a Slow Food. L'obiettivo? I clienti stranieri. Meglio se possessori di barche. Il punto di forza di Tivat – cittadina da 10mila abitanti – è la profondità del porto. Una caratteristica naturale comune a tutte le Bocche di Cattaro: un fiordo di scogli e spiagge sassose scavato dai fiumi, che raggiunge una profondità di 60 metri. Le barche vi approdano da secoli: veneziani, austroungarici, la marina militare jugoslava. Più la barca è lunga e più la carena, la parte immersa, sarà imponente. Porto Montenegro offre già oggi 87 posti barca per superyacht. Il Porto vecchio di Cannes arriva a 60, per fare un confronto. Le barche più lunghe sono allineate sotto l'enorme gru rossa e bianca mantenuta a ricordo dell'antico arsenale. Tante battono la bandiera delle Isole Bermuda. Su uno yacht con il tricolore della nostra Marina, un marinaio napoletano si lascia scappare: «Qui ti lasciano tranquillo, senza tartassarti di controlli come in Italia».

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