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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2014 alle ore 08:03.

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Empire State of Mind (Part II) Alicia Keys, 2009.Nel 2006 Bob Dylan pubblicò sull'album Modern Times un pezzo intitolato Thunder on The Mountain: «Stavo pensando ad Alicia Keys, e non sono riuscito a trattenere le lacrime» cantava; «Ma lei è nata a Hell's Kitchen quando io a quei tempi vivevo lungo il confine. / Chissà dov'è adesso Alicia Keys: / l'ho cercata fino al Tennessee». Un giornalista di Rolling Stone chiese lumi all'autore: «Come mai quel riferimento ad Alicia Keys?». «Non c'è niente di quella ragazza che non mi piaccia», fu la laconica risposta di Dylan.

Come dargli torto? In tredici anni di carriera, Alicia («denti di perla che splendono come la luna», per dirla con un'altra canzone di Dylan) ha vinto quindici Grammy e venduto oltre sessantacinque milioni di dischi, finendo per essere eletta da Billboard l'artista r&b del decennio. A quattordici anni, passava cinque ore al giorno al pianoforte a suonare Mozart e Chopin: «Mi sono innamorata del piano; ho capito subito che era tutta la mia vita. Morivo dalla voglia di suonarlo». Ora lo suona come la migliore diplomata della Juilliard e ha un'estensione vocale di tre ottave: un timbro caldo che la accomuna alle migliori soul sisters del passato. In Empire State of Mind (Part II) canta: «Sono cresciuta in un posto famoso per i film che ci girano» (Hell's Kitchen, la zona ovest di Midtwon Manhattan) «dove c'è sempre rumore, le sirene suonano giorno e notte, e le strade sono malfamate. / Se ce la faccio qui, posso farcela ovunque, come si usa dire».

Ce l'ha fatta eccome! E non sembra troppo turbata da chi la accusa di scrivere canzoni superficiali, hit buone per scalare la classifica ma artisticamente deludenti, testi troppo scontati e lacrimevoli. C'è qualcosa nel modo in cui interpreta i pezzi… come una dimensione ulteriore che spinge verso profondità inaspettate (ascoltatela cantare Wild Horses dei Rolling Stones oppure How Come You Don't Call Me dell'amato Prince e ne riparliamo). E poi... piace a Dylan. Più che sufficiente, direi.

Ha raccontato che un suo collaboratore, un giorno, le ha mandato un messaggio: «C'era scritto: “Non ci crederai. Bob Dylan ha scritto una canzone su di te”. Sono caduta dalle nuvole. Forse ha letto qualcosa su di me, sulla mia infanzia, e ha iniziato a pensare dove era lui a quel tempo. Essere entrata a far parte del suo repertorio, e in questo modo così singolare, è un grande onore. Sto pensando di rispondergli con una mia canzone; il problema è che non riesco a trovare qualcosa di buono che faccia rima con Dylan, e con Zimmerman non va certo meglio».

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