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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2014 alle ore 11:16.
L'ultima modifica è del 03 ottobre 2014 alle ore 15:18.

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C'è un tappeto circolare rosso e, a delimitarlo, dei coni di luce sospesi. Con intervalli di buio si trasfigurerà anche in un'atmosfera lunare. Lo spazio è un cerchio magico, un'arena, dove, partendo dai bordi, due mondi, due culture, due virtuosi danzatori si fronteggiano, s'incontrano, si scontrano, si fondono, si rimandano l'uno il movimento dell'altro facendolo proprio per restituircelo “altro”. Richiama una fratellanza antica - quasi un lontano e misterioso patrimonio genetico comunicato attraverso le migrazioni dei gitani dall'India verso Ovest - questa commistione portentosa di danza classica Kathak, indiana, eseguita a piedi nudi, e di baile sivigliano, flamenco in chiave contemporanea, naturalmente al ritmo dei tacchi.

La prima appartiene all'anglo-pakistano Akram Khan, la seconda allo spagnolo Israel Galván, due mostri sacri della scena contemporanea internazionale. Dalla loro complicità è nato “Torobaka”, titolo ispirato da una poesia dadaista di Tristan Tzara “Toto-vaca”, che unisce i termini di toro e vacca, animali sacri e simbolici nelle culture dei due danzatori-coreografi. La loro magnifica unione è una danza ad alto lignaggio fisico e ascetico, una pratica di virile esercizio dualistico, di arte coreutica binaria, di libera e creativa comunione di anime, di estetiche prestate alle contaminazioni, di meticciati “in progress” aperti a nuovi approdi e nuovi stili.

Ed è proprio questo - una visione più profonda della danza contaminata e multiculturale -, che contraddistingue “Torobaka” dai precedenti lavori “a due” che Khan ha creato negli ultimi anni coltivando collaborazioni importanti con Sidi Larbi Cherkaoui (ricordiamo il bellissimo “Zero degrees”), Sylvie Guillem, e con l'attrice Juliette Binoche (spettacolo meno riuscito). Qui le due personalità si trasmettono sguardi, impulsi e gesti che recepiscono e si restituiscono vicendevolmente. I diversi idiomi di cui sono portatori Khan e Galván prendono vita e si fondono con le musiche, i canti, i ritmi, compresi i segni e le voci, di tradizioni orientali e mediterranee, che comprendono anche canti gregoriani e sillabazioni vocali di ascendenza Maori, espresse dal vivo dai musicisti e cantanti, anch'essi protagonisti col loro avanzamento dalla penombra in primo piano sulla ribalta.

L'empatia è totale. Trafitti da bagni di luce il rispecchiamento di Khan e Galván – che è pure nei costumi identici di lunghe casacche scure e calzoni stretti - è nel gioco vorticoso di gambe e di piedi, di braccia aperte rivolte verso l'alto o fatte mulinare in aria, di virtuosi assoli fonetici e gestuali al microfono o su una sedia, di ironici movimenti con le mani dentro un paio di scarpe, di duetti percussivi sul dorso, di morbidezze a terra, di pose da toreador, di camminamenti a quattro zampe. E di abbracci che trasmettono battiti vitali. Di arte e di vita. Di reciproca, vivace e scaltra, generosità.

“Torobaka”
direttori artistici/coreografi/performers Akram Khan e Israel Galván
musiche arrangiate e interpretate da David Azurza, Bobote, Christine Leboutte, B C Manjunath
luci Michael Hulls, costumi Kimie Nakano
sound, design Pedro León
Al Teatro Argentina per il Romaeuropa Festival, che prosegue fino al 30/11.

www.romaeuropa.net

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