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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2014 alle ore 08:16.

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di Marinella Guatterini
Vola come una farfalla il ventisettenne indiano Aakash Odedra, eppure i suoi piedi nudi ben radicati a terra, la battono ritmicamente senza salti, mentre le braccia riempiono lo spazio pieno solo della sua presenza, come se vi fosse una folla intera a danzare con lui. Magia di un virtuosismo strano: efebico, ipnotico e tentacolare. Con questo campione di più eredità classiche intrecciate (Kathak e Bharata Natyam), attivo a Londra e lì osannato come astro della danza british, si è aperta la ventottesima edizione di "MilanOltre". La vetrina stenta a competere con altri, più ricchi colossi in corso, come "TorinoDanza" o "RomaEuropa", ma vanta un suo progetto, condensato in due settimane, al Teatro Elfo Puccini.
Odedra ne ha dato il via con Rising, un quadrittico solitario in cui si scivola da Nittra, suo brevissimo cammeo votivo su musica e canto sacri, a un dialogo tra schiena nuda e accovacciata e coni di luce (in Cut di Russell Maliphant). Con evidenza all'interprete, ben disposto a collaborare con coreografi amici, piace cedere la propria centralità fisica. Se In the Shadow of a Man di Akram Khan (già suo tutor) la luce gioca in proscenio solo su mani, piedi, e volto e infine giunge a svelare l'intera silhouette, in Constellation, Odedra spinge avanti e indietro palle luminose: calanti dal cielo e oscillanti, creano carole celesti. L'atmosfera è "new age" come la musica; l'inesistente coreografia reca la firma di Sidi Larbi Cherkaoui. Ma il magnetico viaggio fisico-metafisico piace anche nel finale e i calorosi applausi invitano a passare al più impegnativo VOCset di Ariella Vidach.
Artista attiva a Milano, pioniera nell'alfabetizzazione digitale e interattiva della danza, con il videoartista Claudio Prati, la Vidach ha organizzato, con il concorso di cinque danzatori, una sorta di intrecciata conversazione nonsense. Tutti – due uomini e tre donne in nero – parlano di fatti banali e quotidiani, rivelano impressioni e accadimenti (al microfono), per poi trovare in una danza "a elastico",– ora tesa e allungata ora rilasciata a terra, come se l'elastico immaginario si fosse liso o strappato –, un perno di senso e una frase compiuta da proiettare sul fondale grigio. Originale ricerca su voce e movimento, VOCset vanta almeno due invidiabili ammaliatrici: Annamaria Ajmone e Chiara Amelio; e nell'insieme un esito ancora in fieri. La freddezza calcolata e voluta dell'evento potrebbe giovarsi di maggior calore emotivo qualora venisse eliminato il calo di tensione dovuto al progressivo svelamento dell'intrigante e, all'inizio, misterioso mix di voci e passi.
Molto riuscito, tuttavia, e lodevole, è proprio quel lavorio vocale che, al contrario affloscia We/Part, coreografia di Paolo Mangiola per il Balletto di Roma. A questo gruppo composto di otto danzatori, in cui spiccano le componenti femminili, "MilanoOltre" ha voluto dedicare, come sua consuetudine, un focus: tre diversi programmi, distribuiti in altrettante serate. Encomiabile, da parte del gruppo capitolino, nato nel 1960, il proposito di scrollarsi di dosso linguaggi antichi per dare spazio a talenti italiani, giovani o meno. Paolo Mangiola giunge dalle file della Random Dance di Wayne MacGregor, e dal famoso coreografo anglosassone ha ereditato la flessuosità del linguaggio, la necessità di una ricerca sul dettaglio minimo, sulle collisioni e sui contrappunti tra braccia e gambe in dialogo sia nei passi a due, sia negli insiemi.
La sua è danza pura: in We/Part comincia con vibrante ed elegiaca eleganza, per poi sgretolarsi confusamente nell'ansia di comunicare i propri fini. Infatti, per chiarire "l'integrazione del soggetto nell'insieme e il suo rispecchiarsi nell'altro", il coreografo non solo cambia il look dei danzatori vestendoli in costumi anni Cinquanta (perché?), non solo introduce una danza di led accecanti – davvero alla MacGregor (altro perché?) – ma, ahi noi, consente a una danzatrice di spiegare la coreografia "filosoficamente" e a parole. Proprio l'uso della voce, così curata in VOCset della Vidach, infierisce contro We/Part. Gli interpreti sembrano all'oscuro delle possibilità di raccordo, tramite il respiro, tra emissione vocale e dinamiche del corpo.
Peccato soprattutto per l'incipit ambizioso del Balletto di Roma, comunque suscitatore di altre curiosità nel quadrittico The Arena Love e in Contemporary Tango di Milena Zullo. Resta negli occhi il rosso carminio della pièce di Michele Pogliani, già nobile interprete di Lucinda Childs. La sua "arena dell'amore" avvampa, buttandoci quasi addosso i balzi entusiasti dei danzatori.
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Rising,/Aakash Odedra; VOCset,/Ariella Vidach; We/Part,/Balletto di Roma a MilanoOltre, che prosegue con Daniele Albanese, Simona Bertozzi, il National Dance Company Wales e, tra l'altro, Fattoria Vittadini, sino al 12 ottobre.

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