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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2014 alle ore 15:32.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2014 alle ore 15:57.

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Gli occhi spiritati e segnati dal bistro, la figura slanciata, un serpente per collana e con al guinzaglio affilati levrieri e maculati ghepardi, trasformò la sua vita nello scandaloso capolavoro d'artista che avrebbe ispirato i massimi pittori e poeti della sua epoca. Perché a Luisa, nata Amman e divenuta marchesa Casati Stampa, sopraffina dandy al femminile, solo il banale non s'addiceva affatto. Lo intuì subito Gabriele D'Annunzio, che la volle come amante e protagonista dei suoi versi. Ai suoi piedi caddero Marinetti e molti altri, non solo futuristi; a inserirla in canzoniere fu anche il conte di Robert de Montesquiou-Fézensac, che la ebbe per amica e per acquirente della casa parigina; a idolatrarla il gotha degli artisti e dei mondani dell'epoca. Coco Chanel e i maggiori couturier la ebbero per ispiratrice, i loro eredi contemporanei come faro; i più grandi gioiellieri inanellarono le sue dita affusolate e incastonarono con brillanti e preziosi, in forma di felini e boa, le sue braccia nervose. Aveva fama di strega e come una pantera, lei amava la notte e del bel mondo della notte si beava d’essere inarrivabile maîtresse, noncurante dei lazzi e delle maldicenze della retriva aristocrazia italiana che, forse invidiandola, non le perdonava le immense ricchezze e la sfrontatezza con cui inanellava amanti e successi mondani. Dopo la separazione dall’aristocratico marito, la famiglia provò a far calare su di lei l’oblio; lei ripagò tutti incrementando le spese e dando il la alle voci più strane nonché ai festini più esclusivi, con i cronisti di tutti il mondo che la eleggevano donna più elegante d’Italia. La sua fu insomma una vita da protagonista, giocata sullo scacchiere internazionale, che la elesse a modello di altera, disinvolta elegante originalità.
E così, come attraverso l'imbuto di un cangiante caleidoscopio noi attraversiamo il misterioso palazzo veneziano Fortuny che con la mostra La Divina Marchesa, rende nuovamente vita e brillio all'epoca, e che epoca, di cui lei fu musa, mecenate e magica ispiratrice per i molti artisti, da Giovanni Boldini a Paolo Troubetzkoy, da Giacomo Balla ad Alberto Martini, da Cecil Beaton a Man Ray che a più riprese la ritrassero quale indomita icona dell’affascinante e ormai lontano mondo che fu, che la seconda guerra mondiale avrebbe spazzato via con la stessa furia con cui Luisa Casati avrebbe consumato il suo immenso patrimonio di maggior ereditiera del Regno d'Italia appena al debutto del ‘900.

La stessa marchesa di Soncino che possedette e riempì di capolavori da Palazzo Venier dei Leoni al parigino Palais Rose, che movimentò con alcune fra le più eccentriche e belle feste in costume, dopo una vita sempre in proscenio con sempre indosso la maschera della protagonista, nel 1957 morì povera a Londra, scambiando per capriccio i pochi gioielli rimasti e i resti di una collezione di ritratti che fu immensa. Perché come scrive Graham Green “Bisogna abbandonarsi al lusso. E poiché la povertà ha la tendenza a colpire improvvisamente come l'influenza, è bene disporre di bei ricordi per i tempi bui” .
La quanto mai raffinata e nostalgica mostra La Divina Marchesa, arte e vita di Luisa Casati dalla bella époque agli anni folli, è al veneziano Palazzo Fortuny fino all'8 marzo 2015. Curata da Gioia Mori e Fabio Benzi, è coprodotta dalla Fondazione Musei civici di Venezia e da 24 ore cultura, Gruppo 24 ore.

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