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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2014 alle ore 15:21.
L'ultima modifica è del 08 ottobre 2014 alle ore 19:09.

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Belle ed eleganti come solo le ballerine sanno essere, a qualunque età. Sono Carla Fracci ed Eleonora Abbagnato. Entrambe combattive, determinate, ciascuna a modo suo. L'una col ricchissimo bagaglio di un'intera vita dedicata all'arte di Tersicore, l'altra con l'entusiasmo e l'energia di chi è nel pieno della giovinezza artistica e di una carriera internazionale. Anche se hanno età diverse, sono accomunate da un rapporto che le lega da molti anni. La ballerina palermitana, étoile all'Opera di Parigi, aveva 14 anni quando la Fracci la volle accanto nel balletto “Fedra, Leggenda e Mito”, al Teatro Massimo di Palermo, per il ruolo di Fedra da piccola.

Era il 1992, e a scoprirla era stato Beppe Menegatti, marito della Fracci. Il suo primo test in scena era già avvenuto nella “Bella Addormentata” di Roland Petit, altro maestro importante nella carriera della Abbagnato, ma l'esperienza con la nostra icona per eccellenza del balletto rimane indelebile perché era come lei che sognava di voler diventare già da piccolissima quando trascorreva ore e ore, invece che a giocare con le bambole - che, confessa, di non aver mai voluto -, a riguardare le videocassette con la Fracci interprete di “Giselle”. E fu proprio la Fracci a consigliare ai genitori della ragazzina di puntare in alto facendola studiare all'Opèra di Parigi, “anche se sarà dura”. A dodici anni lasciò Palermo per andare prima a Montecarlo, poi a Cannes, infine a Parigi dove rimase fino a diventare prima ballerina del prestigioso teatro. Da lì una carriera sempre in ascesa. La Bausch la volle per “Le sacre du printemps”, e altri coreografi come Forsythe e Preljocaj per interpretare i loro balletti. Oggi è la ballerina italiana più conosciuta a livello internazionale, naturalmente dopo la sua maestra. Maestri e allievi, giovani e anziani. È su questo rapporto che verte il secondo Festival delle generazioni dal titolo “Né vecchi, né giovani: cittadini” appena svoltosi a Firenze: una manifestazione che sollecita l'incontro, la trasmissione d'idee e di conoscenze, la disponibilità all'ascolto, per riflettere sul rapporto tra due generazioni, sul passaggio di testimone, sullo scambio costruttivo che ci può essere tra giovani e anziani in tutte le discipline artistiche, e non solo.

Tra ricordi, aneddoti e riflessioni d'oggi, a fare incontrare e dialogare queste due étoile della danza è stata Francesca Chialà nell'ambito di “Musica e Parole”, uno dei format all'interno del Festival. Se per la palermitana fu una scelta dedicarsi alla danza realizzando così un sogno inseguito oltre i confini della sua isola, per la ballerina scaligera invece risultò quasi una costrizione. Non sapeva niente di danza. Amava e sognava la campagna. Fu una signora, vedendola ballare il tango e il valzer col padre tranviere nelle serate all'Idroscalo, a suggerire ai genitori di iscriverla alla scuola della Scala. Ma era svogliata e si annoiava nell'eseguire gli esercizi alla sbarra. Gli insegnanti non la ritenevano particolarmente dotata, al punto, all'esame, da venire considerata “da rivedere”. La folgorazione avvenne vedendo danzare Margot Fonteyn, e quel “voglio diventare come lei” fu la spinta a impegnarsi seriamente. Oggi che “la danza è poco considerata, e non è difesa”, che “si va perdendo nei giovani la tradizione e non si cura l'aspetto stilistico”, ripete che, in questo mestiere, è importante la disciplina, il rigore e il senso del sacrificio. Ammaestramenti che la Abbagnato ha fatto suoi. Ricorda, fra le diversificate esperienze con molti coreografi, il duro lavoro in sala prove a cui la sottopose Pina Bausch nel “Sacre du printemps”. Anche lei una maestra, che gli trasmise un'apertura e una libertà che prima non aveva. L'artista tedesca la spinse a lasciare per un periodo l'Opéra dicendole che sarebbe stata più libera. E così fu. In quell'anno sabbatico la Abbagnato si lancia in nuove sfide. Una tournèe teatrale con Massimo Ranieri, un film con Ficarra e Picone, un video con Vasco Rossi, e apparizioni televisive per comunicare la danza ad un pubblico più vasto possibile. Senza smettere mai di fare giornalmente gli esercizi alla sbarra, la sua vera ossessione. Oggi “non ho più paura di nulla” – confessa -.

Nominata lo scorso anno “danseuse étoile” - il più alto titolo nella gerarchia del balletto del Palais Garnier, per la prima volta assegnato a una ballerina italiana -, riconoscimento ad un talento e ad una carriera costruita con grande lavoro, abnegazione e straordinaria passione, oggi è felicemente sposata, madre di una bambina e di un altro figlio in arrivo. Al culmine del successo questa scelta coraggiosa, “perché sentivo il bisogno di diventare mamma”, la accomuna alla Fracci, anche lei, all'epoca, coraggiosa nella stessa scelta. “Non siamo nate solo per ballare. Si deve essere pienamente donna, col sentimento anche della maternità” ribadisce Fracci. “E questa è una dimensione che aggiunge qualcosa alla vita di ballerina. Non toglie”. Oggi, dopo tante battaglie che continua a fare per la creazione di una compagnia nazionale, per far conoscere e amare a più gente possibile il balletto portandolo ovunque – è stata la prima negli anni Settanta a promuoverlo in Italia nei piccoli centri e portarlo fuori dal teatro, nei tendoni e nelle piazze -, per il giusto riconoscimento che meriterebbe la danza da parte delle istituzioni, non si stanca di ripetere “Difendete il vostro lavoro”. Cosa che negli anni non è stata capita dagli stessi danzatori e artisti, e che ha generato via via uno smantellamento generale di quest'arte dai teatri. Oggi si sente un'umile maestra, col desiderio di trasmettere la sua esperienza ai giovani. E “per essere un buon maestro bisogna essere generosi”.

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