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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2014 alle ore 08:13.

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Quest'anno i premi Nobel per la scienza non hanno suscitato controversie sull'incompetenza o peggio di chi li assegna. La soddisfazione è stata generale, sempre che ne siano un buon metro di misura i commenti di scienziati anglofoni sui social media. Di John O'Keefe dello University College di Londra, May-Britt Moser e il marito Edvard dell'Università di Trondheim, i neuroscienziati parlano bene e segnalano quasi tutti che i due giovani – nel senso di cinquantenni – norvegesi sono stati post doc da O'Keefe, riconosciuto anche come uno dei "buoni maestri". Nei primi anni 70, O'Keefe aveva notato che nell'ippocampo dei topi, neuroni diversi – detti poi cellule di posizione – si attivavano quando gli animali erano in posti diversi come se nel cervello avessero una mappa del proprio territorio. Idea seducente, in fondo per muoverci dobbiamo sapere innanzitutto dove stiamo, purtroppo la posizione delle cellule non disegnava nulla che somigliasse a una gabbietta. Nel 2005, May-Britt e Edvard Moser hanno scoperto un altro sistema di localizzazione. Nella corteccia entorinale (connessa all'ippocampo) alcune cellule si attivano quando il topo supera gli angoli di una griglia esagonale e sono disposte come queste coordinate del suo, e del Gps mentale. Per la prima volta e per ora l'unica si è identificato un codice, nel senso informatico del termine, che collega direttamente l'attività cerebrale al comportamento e alla cognizione. Il codice resta in gran parte da decifrare, però il morbo di l'Alzheimer si manifesta inizialmente nella corteccia entorinale, con il disorientamento e la perdita di memoria. La motivazione ufficiale del premio non accenna allo Human Brain Project, il programma-bandiera europeo da 1,2 miliardi di euro criticato da mesi perché ne sono state escluse sia le ricerche cognitive che quelle sugli animali. È improbabile che ai ricercatori dell'Istituto Karolinska non sia venuto in mente nel votare per i vari candidati.
L'Accademia delle scienze svedese ha scelto un'invenzione molto popolare nel dare il premio per la fisica ai "Blue's Brothers" come sono stati ribattezzati gli ingegneri Isamu Akasaki e Hiroshi Amano dell'Università di Nagoya e Shuji Nakamura, un tempo dipendente della Nichia. Hanno inventato il semi-conduttore "dopato" al nitruro di gallio che aggiunge il blu ai diodi in uso dagli anni 50. Emettevano solo luce verde e rossa, risparmiavano tanta elettricità, purtroppo creavano un ambiente spettrale e facevano sembrare i convitati di pietra o affetti da itterizia. Con i tre colori primari, la luce è decisamente più calda il che spiega come mai i led blu stanno sostituendo sia le lampadine a fluorescenza che quelle a filamenti. Inoltre la luce blu ha una lunghezza d'onda più corta, perfetta per lo schermo del computer, il lettore di dvd, lo smart phone e la serie crescente di oggetti high tech compatti; l'efficienza dei led riduce il consumo di energia e quindi le emissioni di gas serra e di altri inquinanti da parte delle centrali; incrementano la resa delle lampade solari che diventano convenienti per i poveri dei Paesi del terzo mondo, dove spesso non esiste neppure la rete elettrica. La fisica, fa capire il premio, non scopre solo il bosone di Higgs, bellissimo ma che non migliora esattamente la vita quotidiana. Dietro c'è anche una rivincita di cui ha parlato molto la stampa giapponese: la Nichia aveva pagato noccioline per il brevetto di Nakamura, che è ricorso ai tribunali per ottenere 8 milioni di dollari. Forse non è questa la storia edificante che Alfred Nobel aveva in mente quando voleva ricompensare le persone «che hanno beneficiato maggiormente l'umanità».
Si sente spesso lamentare la suddivisione della scienza in una Torre di Babele di discipline anguste dai linguaggi diversi. Non è più così da almeno vent'anni soprattutto per chi osserva la natura nelle nanodimensioni. Il premio per la chimica dato ai fisici Eric Betzig, Stefan Hell e William Moerner non ha destato scandalo perché è un ringraziamento delle scienze della vita per un nuovo microscopio – ha meno di 8 anni! – che mostra quanto avviene in una cellula. Per più di un secolo i microscopi ottici hanno rispettato il limite di risoluzione decretato da Ernst Abbe nel 1873. Anche sotto il più potente e preciso dei microscopi un oggetto più piccolo di metà della lunghezza d'onda della luce visibile è una macchia indistinta. Non c'era verso di distinguere una molecola dall'altra se non erano separate da almeno 200 nanometri. Ma negli anni Novanta, Moerner ha scoperto come accendere e spegnere con un laser la fluorescenza verde emessa da una molecola e Betzig e Hell (seguiti a ruota dalla bravissima Xiaowei Zhuang) migliorarono la tecnica scattando istantanee fulminee da varie angolature. In realtà, il limite di Abbe resta valido, ma un computer è in grado di interpretare i blob per restituire la forma esatta di una rete di proteine o di neuroni e sinapsi, quelle immagini multicolori che ispirano anche collaborazioni tra scienziati e artisti.
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