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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2014 alle ore 15:41.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2014 alle ore 09:32.

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Papa Paolo VI (Olycom)Papa Paolo VI (Olycom)

La beatificazione è resa possibile grazie a un miracolo ricevuto da una famiglia di cui però, su esplicita richiesta di privacy, non si conoscono dettagli né immagini. Si sa solo che si tratta della guarigione di un feto da una malformazione che ne avrebbe impedito la nascita, avvenuta nei primi anni Novanta in California: il bambino non solo è nato ma oggi è un ragazzo, grazie alle preghiere dei genitori, dei medici e delle suore di Maria Bambina (che all'epoca prestavano servizio nell'appartamento di Giovanni Paolo II), una delle quali era amica della mamma miracolata.

Per l'arazzo che sarà esposto sulla facciata della basilica di San Pietro è stata utilizzata una foto di Pepi Merisio, fotografo ufficiale di Paolo VI, che ha anche collaborato per la parte fotografica della “positio” durante la causa di beatificazione. L'immagine ritrae il Papa con le braccia aperte e sollevate, mentre sullo sfondo si nota una strada di sampietrini, a significare «l'idea del Pontefice che ha guidato la Chiesa per le strade del mondo, annunciando la fede in un linguaggio comprensibile all'uomo comune», in una gestualità, precisa padre Marrazzo, che «riporta ai temi dell'accoglienza e del dialogo».

Alla celebrazione prenderanno parte cardinali, vescovi e sacerdoti, e sembra confermata anche la presenza del Papa emerito, Benedetto XVI, che proprio da Paolo VI fu fatto cardinale, così come Paulo Evaristo Arns e William Wakefield Baum, anche loro sul sagrato della basilica vaticana. Atteso l'arrivo di migliaia di fedeli soprattutto dalla provincia di Brescia, terra d'origine di Montini, da cui partiranno autobus e treni speciali organizzati nei giorni scorsi. La liturgia, infine, sancirà anche la chiusura dei lavori della III assemblea generale straordinaria del sinodo dei vescovi sulla famiglia, in corso dal 5 ottobre.

«Montini non è stato un Papa mesto e neanche freddo. Anzi, ha partecipato intensamente alle vicende del suo tempo (come dimostra ad esempio il caso Moro) perché era un uomo di grande sensibilità». Non ha dubbi il postulatore della beatificazione padre Marrazzo. Secondo il religioso che ha parlato alla stampa, «l'apparente mestizia di Paolo VI era compartecipazione alle sofferenze, non mancanza di speranza. Il processo, dunque, ha fatto emergere Paolo VI come persona estremamente lucida sul piano intellettuale, determinata per quanto riguarda le scelte che riguardavano il bene della Chiesa e «sempre pronto a fare con gioia la volontà di Dio».

Secondo il postulatore della causa di beatificazione, anche il fatto che Paolo VI fosse «troppo intellettuale» rappresenta «un altro dei luoghi comuni da sfatare». «Montini - ha rivendicato padre Marrazzo - era un uomo colto, non un intellettuale. O meglio era un sacerdote profondamente consapevole dei doni ricevuti da Dio. Questi talenti li ha messi a servizio della Chiesa intesa come popolo di Dio, considerando soprattutto gli ultimi. La cultura quindi gli serviva per non trascurare nessuno di quelli che il Padre gli aveva dato. Anche il suo linguaggio, molto bello e a volte persino poetico, è comprensibile a chiunque. Se, dunque, non comprendiamo questo, corriamo il rischio di relegarlo in una biblioteca».

Ma quale Papa indeciso, tormentato, lacerato dai dubbi? Questi sono «cliches, pregiudizi, impressioni superficiali, modi di dire che si tramandano senza approfondimento». Insomma, «un falso» dice l'arcivescovo Agostino Marchetto, uno dei massimo studiosi del Concilio Vaticano II - secondo papa Francesco ne è «il miglior ermeneuta» - che parlerebbe per ore di Paolo VI. Alla vigilia della beatificazione, spiega che “dimostrazione ne fu la lettera inviata alle Brigate Rosse e la celebrazione in morte di Aldo Moro, a San Giovanni in Laterano, che fecero scoprire l'umanità di Giovanni Battista Montini, mai veramente conosciuta dal gran pubblico, velata com'era dalle polemiche e dalla scarsa comunicatività del Papa con le masse». «Penso che fosse soprattutto questione di timidezza e una certa riservatezza e una certa solitudine voluta e intesa, e lo scrisse, nell'esercizio del Sommo pontificato - prosegue -. Bisogna considerare anche il dato psicologico dominante di Paolo VI, che non era l'incapacità a decidere, ma la volontà lucida di non abbandonare nessuno dei due poli, neanche quando essi non potevano, almeno a breve termine, essere conciliati. Così il Papa perseguì fermamente il rinnovamento della Chiesa e spostò poi l'accento sulla difesa della tradizione, quando gli parve che essa fosse minacciata, senza invertire, però, la direzione di marcia e accomodarsi in una pura conservazione».

«Mi limito a ricordare che, per il cardinale Koenig, Paolo VI fu il martire del Concilio e che riuscì a realizzare quel consenso straordinariamente elevato, quasi unanime, attorno ai testi conciliari degno di ogni ammirazione», dice appassionatamente l'arcivescovo vicentino, ex nunzio apostolico ed ex segretario del dicastero vaticano per i Migranti. «Egli fece in modo che in Concilio si coniugasse la fedeltà alla tradizione con il rinnovamento, o aggiornamento, o riforma, che dir si voglia - continua -. E ciò è vitale per il Cattolicesimo, e non solo, se pensiamo a quanto Cullmann, teologo protestante, raccomandava anche ai cristiani non cattolici, cioè di non perdere di vista il “genio” del Cattolicesimo: appunto quello di mettere insieme ciò che altri dividono. E' l'e...e, non l'o...o».

Per Marchetto, «Paolo VI ha poi avviato contro venti e maree l'attuazione del Magno Sinodo, o come dico io, più propriamente, l'autentica sua ricezione». E questo «coincide con l'attualità stessa, oggi, del Vaticano II, bussola per la Chiesa, e lo si è costatato durante questi giorni del Sinodo sulla famiglia. Non pochi padri hanno infatti richiamato in esso la necessità di rifarsi al metodo dell'et..et, del mettere insieme, di far abbracciare tradizione e rinnovamento, come in Concilio. Basti leggere la relazione “ppost disceptationem” per rendersene conto».

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