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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2014 alle ore 08:19.

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Ma attenti, non è detto che Cotroneo possa aspirare alle Virgolette d'Oro, anzi non è detto neppure che salga sul podio dei primi tre. A contendergli il titolo ci sono fior di talenti, due dei quali condividono anche un'inquietante prossimità geografica con Battiato. C'è Pietrangelo Buttafuoco, che Battiato lo mette pure nelle epigrafi dei suoi libri e che ha fatto del Citazionismo Sublime una forma di dandismo: è l'unico che sia capace di schiaffare nello stesso paragrafo Jean-Jacques Rousseau e l'Attila di Diego Abatantuono. E c'è Francesco Merlo, che proprio quest'estate evocava le feste siciliane dove la banda del paese è «la stessa di Totò, del maestro Scannagatti arabizzato dai dervisci danzanti alla Battiato» (sic). Pronti per il test? Ecco qui Merlo che si dedica a una lunga esegesi del look «camicia bianca» di Matteo Renzi, a suo dire un tentativo di «rendere veloce ed elegante marketing la sinistra d'Europa. Perché bisogna pur dirlo che nella sinistra di una volta erano i libri e i film che racchiudevano l'epoca: Sulla strada e Il laureato per esempio. E in una sola frase – I have a dream – si identificavano milioni e milioni di angry young men. E invece adesso è la camicia bianca la gabbia d'acciaio che prevedeva Max Weber, un indumento con l'aria di niente che da ieri veste, per usare un linguaggio gramsciano, la nuova egemonia culturale d'Europa». Responso: la prima parte è opera di un Citazionista Mediocre, che per infiocchettare banalità – prima contava la cultura, ora l'immagine, minchia che degrado – butta lì a caso Jack Kerouac, Dustin Hoffman e Martin Luther King, come intrappolati in un ascensore guasto. Poi, però, arriva un micidiale uno-due che più a vanvera non si può da Citazionista Sublime: ecco allora la gabbia d'acciaio prevista da Max Weber, il quale però non «prevedeva» un bel nulla (anzi, parlava di onestuomini calvinisti vissuti cinquecento anni fa) e soprattutto con quell'immagine non descriveva la leggerezza del marketing ma la pesantezza della burocrazia; ed ecco l'egemonia che, non si scampa, ha da essere sempre «gramsciana», proprio come lo shivaismo tantrico ha da essere sempre dionisiaco. Ma siamo tutto sommato ancora a quote basse. Scaliamo devotamente il picco mistico in cima al quale abitano i maestri del Citazionismo Sublime. Lassù, canuto e barbuto come l'inflessibile Pai Mei, siede a gambe incrociate Eugenio Scalfari. Prendete questo brano dalla sua rubrica in coda all'Espresso, «Vetro soffiato», provate a cantarlo sullo spartito di Cuccurucucù e capirete la differenza tra un novizio e un Grande Iniziato: «Io penso che l'essere altro non sia che il caos il quale tutto contiene: materia energetica, campi elettromagnetici, il tutto privo di leggi e di forma, al di fuori di tempo e di spazio. (…) Se il “Big Bang” ipotizzato dalla scienza si è in realtà verificato, esso deve dunque partire dal caos. L'energia che esso contiene ad un certo punto esplode e il caos dopo quell'esplosione genera forme. Passano alcuni milioni di “nano-secondi” e il caos si riversa interamente nelle forme, ogni forma ha le sue leggi ma il caos resta dentro ciascuna di loro. L'essere sta (Parmenide) e al tempo stesso diviene (Eraclito). Tutto ciò si può esprimere con una formula matematica? Einstein l'ha fatto. Si può esprimere con la fisica-chimica delle particelle elementari? La teoria dei “quanti” l'ha fatto. (…) Si può chiamare Dio energia? Certo si può con l'avvertenza che l'energia è immanente sta dentro tutte le forme e anima la vita e il caos che sta dentro di loro. “Deus sive natura” diceva Spinoza. Appunto». Appunto. Ma il Tao della fisica di Scalfari impallidisce davanti alla sua supercazzola musicale. Titolo: Se la musica annuncia il futuro. Svolgimento: nel Novecento arriva la modernità, ossia un dream team che comprende, guardando da sinistra, «Picasso, Matisse, Kandinskij, Wagner, Pessoa, Kafka, Nietzsche, Hofmannsthal, Adorno, Thomas Mann, Anna Achmatova, Tolstoj, Dostoevskij, Djagilev» (i primi in piedi, gli altri accosciati). Però dice Scalfari che l'avanguardia moderna ha esaurito la sua spinta vitale e ci resta solo la religione, specie l'islam e il cattolicesimo, quest'ultimo così rappresentato (qui lo stile è da Litanie dei Santi, e a ogni invocazione si risponde: ora pro nobis): «Cimabue, Giotto, Dante, Scoto, Bernardo, Agostino e infiniti altri nomi». Ma non solo la religione, pure la musica è importante, e le composizioni di Schönberg e Stravinskij sono rivoluzionarie al pari di, nell'ordine, «Klimt, Kandinskij, Matisse, Picasso, il Rilke delle Duinesi e il Kafka del Processo, per non dire del Ravel del Bolero e del Tempo dell'inquietudine di Fernando Pessoa» (alla fine di questo giro di presentazioni ero già completamente ubriaco, tanto da non accorgermi che il libro di Pessoa non si chiama così). Schönberg e Stravinskij però non spuntano mica dal nulla. Dice Scalfari che hanno alle spalle la «Grande fuga di Bach», peccato solo che sia di Beethoven, e poi «Chopin soprattutto nei quartetti», peccato solo che non esistano. Ma l'inesistenza dei quartetti di Chopin è un problema minore, dopo che il mantra dei nomi illustri ci ha portato vicini a quel grande fuoco mistico a cospetto del quale i bignami dei mortali non sono che paglia.

Vestale di quel fuoco mistico è Barbara Spinelli. A lei spetta il podio della Citazionista Sublime, a lei le Virgolette d'Oro per i secoli a venire, anzi si farebbe prima a intitolarle direttamente il riconoscimento: il Premio Barbara Spinelli. Lei sola, infatti, sa esser sublime anche quando cita da mediocre. Quando, per esempio, rimanda il lettore a Simone Weil, La pesanteur et la grâce, ma gli suggerisce anche, per approfondire, Simone Weil, L'ombra e la grazia, salvo che si tratta dello stesso identico libro. O quando, per commentare i fantomatici misteri del «patto del Nazareno», tira in ballo il saggio sulla fiaba della povera Cristina Campo; la quale Campo, che in vita fu cristianissima, a sentir parlare di patto del Nazareno avrà pensato senz'altro alla «nuova ed eterna alleanza» di Gesù di Nazareth; ma dopo aver capito di essere stata trascinata col raggiro postumo in un editorialino su Berlusconi avrà tirato in cielo tante di quelle bestemmie da beccarsi mezzo secolo in più di Purgatorio per cattiva condotta. Ma qualunque antologia del Citazionismo Sublime non può che avere al centro l'articolo che Barbara Spinelli dedicò anni fa proprio a Eugenio Scalfari. Uscì sulla Stampa con il titolo «Scalfari e il folletto scettico», e nella nobile arte di citare a vanvera corrisponde grosso modo al Finnegans Wake di Joyce. Io lo conservo nello scaffale tra l'Ulysses e i Cantos di Pound. Impossibile capirlo, figuriamoci sintetizzarlo o tradurlo in uno degli idiomi finora conosciuti; basterà dire che nel giro di poche righe, per arrivare a concludere che Eugenio è un Lachphilosoph, ossia un «filosofo ridente», Spinelli riusciva a evocare Hannah Arendt, il Größenwahnsinn o folie de grandeur, le Erinni, Socrate, Hölderlin («Nel blu adorabile...»), il «sorriso dell'acrobata» di Rilke nella Quinta Elegia, il Gargantua di Rabelais, le favole di Grimm, El Desdichado di Gérard de Nerval, Proust, la litote secentesca, il malin génie, Descartes, Meister Eckhart (sermone In hoc apparuit caritas Dei), la pietà di Enea, Nietzsche, Montaigne, Pascal, Thomas Bernhard. Correte a cercarlo in rete, ma attenti: se siete novizi, è prudente leggerlo a piccoli brani e sotto la rigida supervisione di un maestro spirituale. Tre righe bastano a farvi sentire un beato stordimento da droga leggera. Dopo qualche altra frase, diciamo all'altezza di Rabelais e dei Grimm, potrebbe apparirvi il vostro spirito guida in forma di iguana parlante. Arrivati a Eckhart, attraverserete stati di beatitudine che neppure Eckhart avrebbe saputo descrivere. Ed è a quel punto che avrete la visione beatifica: Manlio Sgalambro sulla traversa della porta, che agita le chiavi del Paradiso. Perché un po' di citazionismo allontana da Dio, ma molto e a vanvera riconduce a lui.

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