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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2014 alle ore 08:14.

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Pur col retrogusto di una certa perplessità degli osservatori politici, quelle immagini fecero il giro del mondo e il passaparola fornì ai cittadini della DDR la preziosa notizia che laggiù, proprio in quei luoghi dove di solito trascorrevano le vacanze estive, c'era un buco nella cortina di ferro, che sembrava fatto apposta per il loro desiderio di libertà, annichilito per l'ennesima volta ancora qualche mese prima. Nel gennaio del 1989 Erich Honecker aveva infatti improvvidamente detto: «Il Muro ci sarà ancora fra cent'anni».
Complice l'inizio delle ferie, le prime fughe avvennero già pochi giorni dopo quel plateale, apparentemente spensierato taglio austro-magiaro. A luglio erano decine ogni notte, coloro che passavano i canneti vicino al lago di Neusiedl e nei boschi tra Sopron e il Burgenland. Ad agosto i fuggiaschi erano centinaia al giorno e la macchina dei soccorsi austriaca a pieno ritmo. Nella località turistica di Mörbisch, nei grandi tendoni piantati per offrire una prima accoglienza, vedevi arrivare alla spicciolata famiglie con bambini e gruppi di ogni età: trafelati, un po' macilenti per le lunghe marce nei canneti e nei boschi, si buttavano esausti sulle panche, ma i più cominciavano subito a raccontarti emozionati e ancora increduli, le loro piccole odissee.
In quel lembo d'Austria a 50 km dalla capitale, la popolazione locale, in parte formata da profughi della rivolta ungherese del 1956, si era organizzata presto, segnando il cammino sugli alberi nei boschi circostanti o addirittura scortando i fuggiaschi: «Ho perso 9 chili in 3 settimane, non facevo altro che andare avanti e indietro a prendere gruppi anche di 20 persone alla volta», ricorda oggi Martin Kantisch.
«Correvamo come matti, finché abbiamo sentito una voce tra gli alberi, che ci diceva: tranquilli, tranquilli! Siete in Austria», rievoca una donna tornata in visita in questi giorni per festeggiare.
Risvegliata dal suo torpore da città di confine del mondo occidentale, Vienna prese a organizzare con efficacia raccolte di generi di prima necessità; si aprivano ai profughi ostelli e mense municipali e davanti all'ambasciata tedesca, giorno dopo giorno vedevi lunghe, festanti file di tedesco-orientali in attesa di ricevere i documenti per espatriare. Poi, via verso la repubblica Federale con gli autobus della Croce Rossa o con treni speciali.
Neutrale dal 1955, l'Austria agevolava quei movimenti con diplomatica discrezione, mentre dietro le quinte, colloqui di Miklos Nemeth, Gyula Horn e Helmut Kohl, e consultazioni trilaterali Budapest-Vienna-Bonn, monitoravano la situazione. I media della DDR tacevano, Michail Gorbaciov si atteneva alla sua «dottrina Sinatra» di non intromissione.
Quando poi il 19 agosto, in un altro punto del confine vicino a Sopron si svolse il "picnic" che il Movimento Paneuropeo aveva organizzato con il patrocinio di Otto d'Asburgo, figlio dell'ultimo imperatore austro-ungarico, e del Forum Democratico di Budapest, a Vienna si ebbe la basita certezza che quell'estate di fremiti aveva in serbo ben di più. Un volantinaggio nei campeggi ungheresi aveva informato che la manifestazione comprendeva anche una pacifica, conviviale apertura per 3 ore di quella sperduta frontiera nel Burgenland, e successe l'inevitabile: 600 cittadini della DDR ne approfittarono per fuggire all'Ovest, senza che un solo colpo venisse sparato dalle guardie di confine ungheresi e austriache. Poco più in là, provvidenziali autobus pronti per l'uso, portarono i fuggiaschi a Vienna.
Nelle settimane successive il flusso verso l'Austria continuò immutato. Per tutta risposta, prendendo ancora una volta l'iniziativa, il 10 settembre l'Ungheria annunciò che avrebbe lasciato espatriare in massa le migliaia di villeggianti della DDR ancora titubanti nei campeggi. E un minuto dopo la mezzanotte aprì i cancelli.
I cittadini tedesco-orientali che passarono per Vienna in quei quattro mesi precedenti alla caduta del Muro, vennero stimati dall'allora ambasciatore tedesco in Austria, Dietrich Graf Brühl, in 40mila.
Anche per la capitale austriaca, per decenni un cul de sac dell'Occidente all'ombra della cortina di ferro, quegli eventi dell'estate del 1989 prefigurarono un nuovo inizio. Lo sa bene chi ricorda la grigia, appisolata Vienna dei primi anni Ottanta e quella aperta e frizzante, del decennio dopo.
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