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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2014 alle ore 08:16.

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Purtroppo la storia la scrivono i sopravvissuti, prima ancora che i vincitori: così Robert Falcon Scott fu bollato come capitano poco coraggioso e molto disorganizzato. Erano gli anni Dieci del 1900: l'esploratore fu incaricato dalla Royal Geographical Society, dal Governo e dalla marina britannici di guidare la spedizione Terranova, un ambizioso progetto di conquista del Polo Sud, dopo il parziale insuccesso della missione Discovery in Antartide, all'inizio del secolo. Finì in tragedia: non solo l'impero si vide soffiare il primato dai norvegesi guidati da Roald Amundsen, ma nel rientro in patria Scott perse la vita, insieme ad altri membri dell'equipaggio. «Voglio dirvi che non siamo riusciti a uscirne a causa di uno stretto margine che rientrava fra i rischi di questa marcia», appuntava il marinaio sul taccuino, ora edito in versione integrale da Nutrimenti con il titolo di Ultima spedizione. «Dopotutto abbiamo dato la nostra vita per il nostro Paese – abbiamo fatto la più lunga marcia mai effettuata e siamo stati i primi inglesi al Polo Sud. Devi sapere che fa troppo freddo per scrivere ancora».
Nelle quasi seicento pagine di diario il comandante registrò minuziosamente tutto il viaggio antartico, dal 1910 al 1912: vi si leggono note tecniche e scientifiche (dai rilievi della temperatura dell'acqua ai campioni biologici); osservazioni naturalistiche e zoologiche, in primis sui «bizzarri» pinguini; considerazioni sulla salute degli uomini e degli animali a bordo, come pony e cani; pensieri di vita e d'avventura; riflessioni sul tempo, sul ghiaccio, sulla natura inclemente contro cui lottare ogni giorno… Oggi quasi tutti concordano sulle infauste condizioni meteorologiche che causarono la disfatta della spedizione e la morte per assideramento dei suoi membri: nel 2001 è arrivata pure «la prova scientifica di un clima eccezionalmente sfavorevole», ricorda in appendice Maria Pia Casarini Wadhams, direttrice dell'Istituto geografico polare «Silvio Zavatti». È stata Susan Solomon con The Coldest March «a identificare uno schema ricorrente di estati antartiche più fredde e più brevi, una delle quali occorsa proprio nel 1912». Quanto alla presunta incompetenza del capitano, «tutti i diari sono permeati da un sentimento di inadeguatezza e dubbio sulle proprie capacità. Scott era il primo a criticarsi e a prendersi le responsabilità degli errori commessi».
A febbraio morì Edgar Evans, tenente e secondo in comando, «considerato l'uomo più forte della squadra»; poi toccò a Lawrence Oates, soprannominato «Titus, Soldato, Bifolco… Titus è prossimo alla fine: lo sentiamo. Solo Dio sa cosa noi e lui vorremmo fare… Abbiamo 30 compresse di oppio a testa e a lui è rimasta una provetta di morfina. Fino a questo punto arriva il lato triste della nostra storia… Aveva un carattere forte. Questa fu la sua fine. Ha dormito tutta la notte sperando di non risvegliarsi, ma ieri si è svegliato mentre stava infuriando la tormenta. Ci disse: "Esco, penso per un certo tempo". Uscì nella tempesta: non lo abbiamo più rivisto».
Diceva un tal blasonato scrittore che «un libro deve essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi»: questa Ultima spedizione lo è, non tanto per la sua fattura letteraria o la bontà e ricchezza scientifica dell'operazione, quanto per lo spaccato umano che offre, sbozzato a molti gradi sotto lo zero, quando le dita muoiono ghiacciate, figuriamoci i sentimenti. Scott fu un campione di umanità e pietà: prima di finire completamente assiderato, trovò la forza di scrivere lettere d'amore e d'affetto alle mogli dei compagni morenti, al mentore della spedizione, ai suoi familiari e "al pubblico": «Se fossi sopravvissuto avevo una storia da raccontare sulla fermezza, la resistenza, il coraggio dei miei compagni, una storia che avrebbe colpito il cuore di ogni inglese. Queste povere note e i nostri resti devono raccontare questa storia… Nella mia sacca privata c'è un pezzo dell'Union Jack che ho piantato al polo Sud e la bandiera nera di Amundsen e altre minuzie. Mandate un pezzo dell'Union Jack al re e un altro pezzetto alla regina. Quante cose potrei raccontarvi di questa spedizione. È stato molto meglio che star sdraiato confortevolmente a casa». Spirò nella neve il 29 marzo 1912: il mese più crudele dell'anno non era neppure cominciato.
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Robert F. Scott, L'ultima spedizione, Nutrimenti, pagg. 590, € 22,00

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