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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2014 alle ore 08:15.

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«I libri sono pieni delle parole dei saggi, degli esempi degli antichi, dei costumi, delle leggi, della religione. Vivono, discorrono, parlano con noi, ci insegnano, ci ammaestrano, ci consolano, ci fanno presenti ponendole sotto gli occhi della nostra memoria cose remotissime… Se non ci fossero i libri, noi saremmo tutti rozzi e ignoranti e senza alcun ricordo del passato, senza alcun esempio; non avremmo conoscenza alcuna delle cose umane e divine; la stessa urna che accoglie i corpi cancellerebbe anche la memoria degli uomini». Così scriveva il grande umanista bizantino Bessarione – che era anche il nome dell'anacoreta patrono della sua città nativa Trebisonda – il 31 maggio 1468 al doge Cristoforo Moro, destinando la sua straordinaria raccolta di libri alla Repubblica di Venezia e costituendo, così, il nucleo fondante dell'attuale Biblioteca Marciana.
Fu proprio partendo da questo scritto che anch'io, allora Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, iniziai ad approfondire il profilo di questo personaggio originale che prima mi era noto solo attraverso i manuali di storia o di teologia. La sua fu una sorprendente vicenda che lo condusse da monaco ortodosso, nominato arcivescovo di Nicea dall'imperatore bizantino, a diventare nel 1439 (forse poco più che trentenne) cardinale di Santa Romana Chiesa, dopo essere stato uno dei maggiori artefici del dialogo ecumenico nel Concilio di Firenze, un'assise inaugurata a Basilea e proseguita a Ferrara. Là egli aveva pronunciato un'appassionata Oratio dogmatica pro unione, caldeggiando l'unità tra le due Chiese, l'orientale greca, copta e armena e l'occidentale cattolica romana, una unione che fu solo una meteora nel cielo della cristianità. Da allora la sua vita registrò un frenetico prodigarsi in impegni ecclesiali e politici, in viaggi e in studi appassionati.
Nel conclave del 1455 alla morte di Niccolò V, il pontefice fondatore della Biblioteca Vaticana, Bessarione corse persino il rischio di essere eletto papa: otto cardinali su quindici erano a lui favorevoli, ma alla fine prevalse Alfonso Borgia, Callisto III, perché non si ebbe il coraggio di far ascendere al soglio di Pietro un convertito ex-scismatico e per di più barbuto! Ora, però, non vogliamo ricomporre una così complessa biografia che ebbe termine a Ravenna nella notte tra il 17 e il 18 novembre 1472 e che pochi giorni dopo fu suggellata dalla traslazione della salma nella basilica romana dei Ss. Apostoli. Desideriamo soltanto evocare la dimensione culturale di questa figura che, tra l'altro, si batté contro i Turchi musulmani che – dopo aver conquistato Costantinopoli il 29 maggio 1453 – avanzavano come un'onda incontenibile.
In questo ci aiuta in modo inatteso l'edizione italiana, col testo greco a fronte, curata da vari studiosi, del trattatello La natura e l'arte (1458), uno scritto polemico contro un certo Giorgio di Trapezunte (o Trebisonda) che aveva attaccato il maestro di Bessarione, Giorgio Gemisto Pletone, un filosofo greco, grande conoscitore e sostenitore del pensiero platonico, approdato in Italia, a Firenze, ove eserciterà un forte influsso culturale. In verità, come si evince da questo saggio piuttosto arduo, Bessarione rivelava una sua originalità rispetto al maestro fieramente anti-aristotelico perché platonico ad alta caratura. Egli, infatti, aveva respirato, col suo spirito umanista e la sua genialità, anche l'atmosfera che la teologia e la filosofia medievale avevano generato, soprattutto attraverso il pensiero di Tommaso d'Aquino, fondato su Aristotele.
Ed era proprio partendo da un passo del libro secondo della Fisica dello Stagirita che in questo opuscolo il cardinale abbozzava una sorta di concordia armonica tra Aristotele e Platone, abbandonando il radicalismo platonico del suo maestro Pletone. Le sue pagine, irte di ammiccamenti e di citazioni desunte da autori molteplici e differenti, rivelano una mente dai percorsi rigorosi e dalle analisi taglienti, capace di dominare l'alta qualità teorica del dibattito. Esso andava ben oltre una mera questione esegetica perché la quérelle si snodava su antitetici e più generali orientamenti di indole filosofico-culturale. Nel percorrere un testo tutt'altro che agevole è di aiuto la guida iniziale offerta da una specialista come Eva Del Soldato. Il nodo dell'analogia tra natura e arte spezzato da Giorgio di Trapezunte, viene ricomposto da Bessarione attraverso un sofisticato confronto tra Platone e Aristotele, nel quale non si respingeva il secondo, anzi, lo si armonizzava col pensatore-principe per eccellenza, Platone.
Come si diceva, si è di fronte a una posizione «concordista», non proprio in linea col maestro di Bessarione, Pletone, che pure si voleva difendere, ma significativa per mostrare un atteggiamento intellettuale aperto e creativo, quello stesso che aveva condotto il cardinale a gettare ponti tra le Chiese e le diverse teologie, liturgie e culture d'Oriente e d'Occidente. Un'impostazione filosofica che brillerà in un altro testo ancor più impegnativo, sempre polemico con Giorgio di Trapezunte, In calumniatorem Platonis, al quale il cardinale lavorerà per un decennio, esaltando la sublimità del pensiero di Platone ma dimostrandone anche la conciliabilità sostanziale con Aristotele e, naturalmente, con Cristo. Deliziosa e suggestiva, anche per la feroce ironia che la pervade, è la finale del nostro trattatello La natura e l'arte: «Secondo Giorgio la dottrina platonica non sarebbe degna di nulla se non di biasimo. Possa un giorno conoscere la verità! La conoscerà quando conoscerà anche se stesso. Noi invece ammiriamo Aristotele, ammiriamo Platone e seguendo le loro opere possiamo trarne il frutto, porgendo tanti saluti a Giorgio e ai suoi seguaci!».

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