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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2014 alle ore 11:26.

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Questa riappropriazione di informazioni con fini diversi da quelli per cui erano state rese pubbliche va ben al di là di pochi casi specifici. Siti come Spokeo e Peoplesearch (e molti analoghi) aggregano dati del genere e li distribuiscono a pagamento. Altri siti fanno il contrario: aggregano tutti i dati disponibili sul conto di una persona (condanne, indirizzo, qualunque cosa) e li pubblicano in modo che risultino fra i primi risultati di una ricerca su Google del suo nome. E si fanno pagare per toglierli. Si potrebbe dire che ciò sia frutto di un superamento: la nostra idea di “dati pubblici” dovrebbe adeguarsi al fatto che siano molto più pubblici. Ma questa trasformazione rischia di avere ricadute sui nostri diritti di cittadini. Se so che sostenendo una causa politica potrei perdere il lavoro (perché al mio capo basta un click per scoprirlo), magari ci penserò due volte prima di farlo. Lo stesso, con conseguenze forse più gravi, vale per le reticenze che posso avere a testimoniare in un processo. Come rimediare? Si può, ad esempio, cambiare l'estensione di ciò che si rende pubblico imponendo omissis; oppure si può rivedere il meccanismo di accesso a quei dati, prevedendo che siano indicizzati solo in parte. Ad esempio, nelle sentenze, si potrebbe effettuare una ricerca per nome del condannato, ma non della parte lesa. Proposte del genere vengono spesso additate come luddiste e censorie (vogliono toglierci le informazioni!). Un problema simile si è presentato in occasione della decisione della Corte di Giustizia dell'Unione europea sul “diritto all'oblio”. In molti hanno deriso quella norma in quanto antitecnologica: Mantellini stesso ha scritto dei suoi sostenitori: «Odiano la Rete»; il New Yorker vi ha appena dedicato un pezzo critico. La loro posizione, semplificando, era che se andava bene che un'informazione fosse pubblica quando era sepolta in un archivio, doveva per forza andare bene che fosse accessibile all'istante. Ma quando si è deciso che certe informazioni fossero pubbliche, non si potevano prevedere effetti del genere; in quel caso, magari si sarebbe deciso altrimenti. O sarebbero stati stabiliti dei vincoli a questa diffusione, per bilanciare diritti (la libertà di stampa e la privacy, nel caso del diritto all'oblio) che una nuova tecnologia portava a confliggere.

Come sottolineato da Evgeny Morozov nel suo ultimo libro, Internet non salverà il mondo, un contrasto di diritti è un problema politico. Dev'essere un processo politico – democratico, collettivo – a trovargli la soluzione. In alternativa, certo, possiamo stare seduti e vedere cosa succede, prendendo atto di un'evoluzione tecnologica che marcia irresistibilmente in avanti e pronunciando come un mantra il titolo del romanzo che per primo ce ne ha parlato – Whisky Tango Foxtrot, o, per chi ha fretta, WTF.

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