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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2014 alle ore 07:03.

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Quando ero più giovane parlavo spesso d'amore. Non ero il solo. Quelli che come me leggevano qualche libro, erano davvero convinti di sapere quel quid sull'amore che alla maggioranza delle persone sfuggiva. Eh! Parlavamo, sì che parlavamo, e Ovidio, Saffo, Fromm. Le nostre discussioni erano sempre tese (come diceva un personaggio di Verdone) a mostrare che: a) sì, l'amore rende la vita migliore; b) (ovviamente) se le ragazze sceglievano noi facevano un affare.

Siccome conoscevamo l'amore, sapevamo anche, per sillogismo, amare. A forza di teorie sull'amore, riuscivamo a fidanzarci. Tuttavia dopo qualche mese, tutta la prosopopea d'amore veniva meno, e il partner cominciava a chiedersi: come ho fatto a fidarmi di questo? Su dieci coppie, nove seguivano questa dinamica. Solo una manteneva le promesse: restava insieme a lungo e parlava d'amore come la prima volta. Per questo motivo sono da sempre alla ricerca di qualcuno che mi spieghi l'ontologia di quell'unica coppia sopravvissuta. Anche per questo ho letto Io Amo, di Vito Mancuso (Garzanti). Che tra l'altro promette fin da subito di parlare, appunto, di ontologia dell'amore. Lo fa con un'ipotesi (secondo me) azzardata, che tuttavia se fosse dimostrata porterebbe Mancuso al Nobel. Ecco l'ipotesi: «Il vuoto quantistico per quanto privo di ogni essere conosciuto è un'entità che produce essere. C'è da rompersi il capo (…) Con le sue oscillazioni il vuoto genera i primi enti conosciuti che a volte si presentano come particelle a volte come onde. Nel vuoto nella sua assoluta oscurità, sorgono all'improvviso come lampi di luce, prime tracce dell'essere (…) tutto questo discorso l'ho fatto per giungere a questa domanda: è ipotizzabile che anche nel vuoto quantistico che interessa le nostre persone si producano ogni tanto delle oscillazioni casuali che producono lampi di luce, fino a generare la grande esplosione dell'innamoramento».

Come ho invidiato Mancuso per questa ipotesi. L'avessi detta io a tempo debito chissà quante conquiste. Sì, d'accordo, è la vecchia strategia del «destino ha scelto per noi», ma dovete ammettere che con l'aggiunta della fisica quantistica suona meglio. Che importa quanto sia precisa la descrizione del vuoto quantistico: conta solo che sia suggestiva. Da qui in poi ho sperato nella dimostrazione, appunto, ma Mancuso mi è sembrato più interessato a raccontare che cosa gli autori classici pensavano dell'amore, e quindi la mia tensione da lettore è calata. Insistevo, fra me e me, volevo una controprova: come mai se c'è il lampo di luce prodotto dal vuoto quantistico che conduce all'innamoramento, dunque un Ente che ci assegna un compito d'amore, allora nove coppie su dieci entrano in crisi? Nel tentativo di rispondere, Mancuso si destreggia, non senza sapienza e affabilità, cercando di farmi capire che l'amore, affinché sia proficuo, necessità sì di un sacco di cose, ma in fondo tutte semplici: «Occorre trovare il giusto equilibrio tra donare e ricevere amore, perché tutto nella vita dipende dal giusto equilibrio delle forze». Va bene, ho capito, lo diceva pure mia nonna, ma una misura? Dov'è il baricentro? Costi e benefici dell'equilibrio? Più avanti, poi, Mancuso prova a scardinare alcune pericolose concezioni della Chiesa, come sull'omosessualità. Ma anche qui, in fondo, se la cava con l'equilibrio: non c'è niente di male a essere omosex, ma è meglio sublimare: «La sublimazione dell'energia sessuale è una via importante per la realizzazione del sé». E dai! Altre volte è il tono a insospettirmi. Indica le tipologie d'amore così: «Alla luce di queste distinzioni e degli intrecci e relazioni tra loro, penso che per l'amore si generino le seguenti possibilità: solo attrazione del corpo: amore erotico; attrazione del corpo e della psiche: amore sentimentale», e dopo segue la spiegazione. Il tutto come se però fosse il primo a definire la tassonomia. Alla fine, quello che ho capito, per contrasto, da questo libro è: a) l'amore non rende la vita migliore, la rende possibile e imperfetta; b) ci sono intellettuali che cercando di scomporre le ipotesi con metodo analitico, rigore e fatica nel proporre le dimostrazioni, e altri, come Mancuso, che preferiscono comporre libri con le dovute citazioni e azzardare ipotesi che mai potranno provare. I primi hanno vita più difficile, i secondi contribuiscono a creare un brodo culturale, quello del sentito dire, che forse a lungo andare tanto bene alla cultura dell'amore non fa. Amore in senso lato, naturalmente.

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