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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2014 alle ore 20:52.

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Autore di “La Rivincita” (edito da Baldini&Castoldi) e “Il Guaritore” (vincitore del Premio Riccione 2011 e del Premio Hystrio alla drammaturgia 2014), due tra le più recenti coproduzioni della Fondazione Pontedera Teatro insieme a Teatro Minimo, il quarantenne pugliese Michele Santeramo, con attività anche di attore, torna alla scrittura teatrale con un nuovo testo originale, “Alla luce”, messo in scena da Roberto Bacci. Una storia secca: quattro persone cieche convocate a giocare a carte. Chi vince potrà riacquistare la vista.

Due le coppie: un fratello maggiore e uno minore - l'anziano che trascina con sé il più giovane come possibile vittima -, e una coppia di coniugi, in crisi e con un passato drammatico. Persone che rivendicano, ciascuno a suo modo, il diritto a vivere in un mondo di luce, e di verità. A gestire il gioco è un vedente, un cinico croupier in abito da circo che manovra quelle fragili esistenze sulle quali esercita assoluto potere istigando il loro gioco al massacro e non risparmiando umiliazioni considerandoli esseri insignificanti e scarti della società. Si entra in una stanza claustrofobica di tendaggi neri, con un tavolo drappeggiato di rosso, una sedia e un leggio col libro, in brail, delle norme del gioco. Condizione inappellabile delle regole è dimostrare di saper governare le emozioni. Chi esce con la carta più alta sceglie l'avversario cui imporre l'esperienza emotiva da affrontare. Sette sono gli ostacoli da superare, estraendoli a sorte per la prova: rivalità, tradimento, crudeltà, disprezzo, prevaricazione, paura della morte.

Sentimenti negativi, rancorosi, che spesso riversiamo sul prossimo, ma dei quali, invece, siamo noi stessi artefici nei confronti altrui. Ed è questo il senso del testo, perché c'è qualcosa di tremendamente vero, disturbante, che interpella e scuote, in questa inquietante partita a carte che “mette in gioco” la vita con le sue contraddizioni e piccole e grandi malvagità. Amaro e grottesco, il testo contiene echi della tragedia greca riscontrabili già in quella condizione edipica di cecità e nel rimando all'unica donna in scena (la bravissima Silvia Pasello) che, come una Medea contemporanea, scopriremo di aver ucciso il suo bambino facendo torto, o per vendetta, al marito-Giasone che non ama più. Questi, inizialmente taciturno e sottomesso, le urlerà il suo disprezzo, rinfacciandole tutto il male ricevuto da lei. L'evolvere delle situazioni fuori controllo manifesterà che i sentimenti non sono più governabili; e quando si giungerà a riacquistare la vista, si vorrà non vedere più. Forse per la sofferenza che prima s'ignorava, o nel costatare cos'è veramente l'uomo, un essere disumano, e di quali azioni e violenza è capace. Perché “la luce è una dittatura” dirà il fratello all'altro. Ed “essere umano non è per tutti. Si diventa”. La donna, amante del croupier, con gli occhi imbrattati di sangue chiuderà il buio, e con esso l'orrore innescato, da nascondere. Per ritornare alla cecità.

“Alla luce”, drammaturgia Michele Santeramo, regia Roberto Bacci, con Sebastian Barbalan, Michele Cipriani, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini. Produzione Fondazione Pontedera Teatro, Teatro Era, fino al 9 novembre.

www.pontederateatro.it

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