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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2014 alle ore 13:50.
L'ultima modifica è del 06 novembre 2014 alle ore 13:54.

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Gino GirolimoniGino Girolimoni

Questa è la storia di un visionario del nostro tempo. Un uomo che, per tutta la vita, è corso dietro a un sogno e che, a prezzo di numerose fatiche e rinunce, è stato in gradi di realizzarlo. Un sogno fatto di ritorno alla natura, alla campagna, alla vita contadina, oggi. Non un contadino fra i tanti, ma contadino-innovatore, animato da progetti enormi, come enormi sono stati gli sforzi per realizzarli. Parliamo di Gino Girolomoni, il “padre” dell'agricoltura biologica italiana, morto il 16 marzo del 2012. Personaggio a suo modo celebre, ne parliamo in occasione della pubblicazione della prima, bella, biografia a lui dedicata, scritta da Massimo Orlandi per la Emi. Uomo noto e degno di nota, dicevamo, eppure così coerente e fuori dagli schemi da aver sempre dovuto sempre lottare per affermare e concretizzare le sue intuizioni.

Si definiva un “poeta religioso”: era effettivamente un uomo animato da una forte fede, incrementata dalla preghiera, dalla frequentazione delle Sacre Scritture e anche dall'amicizia del teologo Sergio Quinzio, ma soprattutto era attratto dalla natura, dalla terra come luogo eletto di manifestazione di Dio, luogo forgiatore e trasmettitore di cultura, di civiltà, di appartenenza, di speranza. “La terra è la mia preghiera” è il titolo, molto azzeccato, del libro appena pubblicato a suo riguardo.

Nativo di Isola del Piano, piccolo comune nella campagna urbinate, dopo gli studi tecnici e la decisione di non seguire il destino della stragrande parte dei suo contemporanei, avviati verso la fabbrica o un ufficio, Girolomoni sceglie di restare nel suo paese, di dedicarsi alla campagna, di darsi da fare perché questa vita “contadina” possa essere una prospettiva concreta anche per molti suoi compaesani. In questo senso vanno lette sia la scelta di candidarsi (con successo) come sindaco di Isola del Piano che quella, rischiosissima, di acquistare i ruderi dell'antico monastero di Montebello con l'obiettivo di farlo risorgere, di stabilircisi con la famiglia e di farne il centro propulsivo di una rinascita contadina che sarebbe passata dallo sviluppo di un'agricoltura rispettosa dell'ambiente e del territorio e che avrebbe dato prospettive lavorative anche ad altri, soprattutto giovani.

Il vecchio monastero diventa, così, il luogo di elezione di questo contadino eccentrico e sognatore, affiancato dall'inseparabile e infaticabile moglie Tullia, e da molti amici, nucleo di quella cooperativa “Alce Nero” che sarebbe diventata una delle principali realtà dell'agricoltura biologica in Italia. Decisiva, per Girolomoni, l'intuizione che la campagna, la vita contadina, non doveva essere più interpretata come una vita miserabile, di stenti e privazioni, quasi di schiavitù, ma avrebbe potuto accompagnarsi a un nuovo tipo di sviluppo naturale e culturale, inteso come ritorno alle radici di una terra e di una comunità, come legame con un territorio e sua difesa dallo scempio dell'industrializzazione forzata (anche della stessa campagna), come prospettiva concreta di una vita semplice e buona, radicata nei valori profondi, anche se un po' appannati, della civiltà contadina.

Per trovare alleanze culturali Gino va in cerca anche di intellettuali che siano sensibili ai valori di cui si vuol fare portatore, e ne trova parecchi: oltre al maestro e amico Sergio Quinzio, anche Guido Ceronetti, Paolo Volponi, Vittorio Messori, Pier Paolo Pasolini e parecchi altri, disponibili a venire a parlare a Montebello, così come a scrivere e a testimoniare che i valori che hanno animato per secoli le nostre campagne non possono essere cancellati con un colpo di spugna.

Memorabile, nel 1973, la mostra degli strumenti della civiltà contadina organizzata a Isola del Piano: sarà la prima di tantissime altre che fioriranno in tutta Italia, con la conseguente riscoperta degli “antichi mestieri”. Le difficoltà per Girolomoni non sono, però, poche: per tantissimi anni i suoi prodotti , la pasta in testa, vengono regolarmente sequestrati poichè non rispettano le caratteristiche di legge (semplicemente perché la normativa italiana non ha ancora regolato la produzione del biologico e la pasta integrale è considerata illegale!); inoltre per anni le difficoltà di commercializzazione dei prodotti biologici sul mercato interno sono molte, con conseguenti problemi economici anche per la cooperativa, costretta, a un certo momento, a vendere il nobile marchio “Alce Nero”.

Tutto questo però non ferma Gino e non fermerà nemmeno i suoi familiari ed eredi: la cooperativa si chiama ora “Gino Girolomoni”, produce e commercializza biologico in Italia e all'estero, ha un fatturato in crescita e i figli del fondatore ne portano avanti l'eredità. Montebello è stato completamente ristrutturato, fa da base alla cooperativa ma è anche sede di agriturismo e punto di ritrovo per molte persone attirate dal carisma e dal sogno di Gino Girolomoni. Un sogno diventato realtà e insegnamento per molti.

Massimo Orlandi
La terra è la mia preghiera. Vita di Gino Girolomoni, padre del biologico
Emi, 194 pagg, € 14

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