Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 14:17.

My24

In due volumi è stata pubblicata per Einaudi, nella collana Piccola Storia dell'Arte, l'opera di Cinzia Pieruccini Storia dell'arte dell'India, che – come si vedrà – rappresenta sicuramente la vittoria in una sfida coraggiosamente raccolta, anzi, sollecitata dall'editore e dal l'autrice, che mette a frutto in modo del tutto conseguente l'impianto dei volumi stabilito dalla collana. Esso prevede una prima parte che sviluppa i principi e i requisiti generali dell'arte a cui ogni testo è dedicato. All'inizio del I volume, Dalle origini ai grandi templi medievali, sono così impostati da Pieruccini i grandi temi dell'arte indiana hindu, buddhista e jaina: la relazione fra arte e religione, le principali tipologie dei monumenti, le teorie estetiche, i rapporti fra gli artisti, i committenti e il pubblico. Ma a questi argomenti, di importanza evidente, se ne aggiungono altri particolari, che fanno parte in maniera originale della visione e della produzione indiana e che la contraddistinguono: per esempio le immagini di buon auspicio e gli animali. Si tratta di temi forti, salienti nell'arte del subcontinente, ma che non ricevono quasi mai – soprattutto in storie generali – attenzione e ampio svolgimento specifico.
Forse è una funzione primaria anche dell'arte cristiana, ma certo lo è in maniera prepotente di quella indiana, che le icone del Buddha o quelle degli dèi e semidèi hindu, disseminate sulle pareti e negli interni degli edifici di culto, abbiano anche la funzione di proteggere e di favorire le sorti del monumento, del territorio, dei governanti e della popolazione sulla quale vegliano. Osserva tuttavia Pieruccini che, per la sensibilità indiana, prima ancora delle entità raffigurate a portare fortuna sia la bellezza di per sé. E bellezza, in India, significa anche ornamento, decorazione; si rivela qui un principio fondante dell'estetica relativa: perché si generi bellezza, la natura dev'essere completata, cioè decorata.
Lo dimostra in maniera inequivocabile l'etimologia stessa della parola sanscrita alamkara che in arte indica l'«ornamento» e in letteratura la figura retorica: essa infatti letteralmente significa «ciò che rende adeguato, completo». In altri termini: perché vi sia bellezza, la natura non può essere solamente rappresentata, ma va integrata, resa compiuta dall'artificio umano. Si spiegano così la frequenza e l'attenzione dedicata a immagini come quella del loto o della cornucopia, il «vaso ricolmo» di tralci ricadenti. Ma supremamente beneauguranti sono i corpi umani (cioè divini) soprattutto femminili, raffigurati all'età per gli indiani perfetta dei 16 anni, «sui quali i gioielli (collane, cinture, bracciali, anelli e così via) completano per l'appunto, secondo il concetto di alamkara, il fascino e il buon auspicio».
Altra presenza amatissima nel repertorio iconografico è quella degli animali, reali e fantastici, messi in scena con profonda empatia e straordinaria naturalezza. A intensificare la tendenza è il fatto che ciascun dio o dea ha come veicolo, ma più ancora come compagno e alter ego, un particolare animale: ad esempio il toro per Shiva e la sposa Parvati, l'avvoltoio (a sua volta divino) per Vishnu e Lakshmi, la candida oca reale per il creatore Brahma e Sarasvati, o per Indra l'elefante, emblema d'altronde anche del Buddha.
Nell'equivalente parte del II volume, Dagli esordi indo-islamici all'indipendenza, Pieruccini mette pure in luce, oltre ai fondamenti estetici e socio-politici del l'arte mussulmana dell'India, alcuni temi peculiari di grande rilevanza quali gli accampamenti, «autentiche città che traslocano» con sovrani come i Mughal (dagli inizi del XVI secolo) sempre memori delle loro origini nomadi e dunque spesso in viaggio, di guerra o di piacere. Del pari rilevanti, in ambito indo-islamico, sono l'arte dei giardini, veri e propri paradisi, e quella del libro, illustrato nei periodi aurei dalle inimitabili miniature.
L'organizzazione sapiente e trasparente, identica in entrambi i volumi, vuole che alla prima parte ne seguano altre due: la seconda, molto completa, è dedicata a illustrare la produzione artistica secondo le epoche e i luoghi, per l'Islam anche i protagonisti, cioè i regali committenti. La terza parte è costituita da schede che descrivono e commentano in maniera approfondita le opere principali, quasi si trattasse dei pezzi di un'ideale esibizione. L'apparato iconografico è molto ricco e coerente, anche perché dovuto in gran parte all'autrice che da decenni conduce missioni nel sub-continente e che può così accoppiare alle immagini complessive dei reperti immagini pertinenti dei loro particolari. Pure assai ricco e preciso è il corredo di carte, mappe, planimetrie. L'opera non ha eguali, anche sul piano internazionale, se si considera che non esistono manuali generali altrettanto completi e accurati nei dati obiettivi, neppure da parte di autori che sono fra i massimi studiosi al mondo: un nome per tutti, quello di Susan Huntington, che esamina solo l'arte hindu, buddhista e jaina. E, in effetti, quasi sempre l'arte indo-islamica è oggetto di manuali a sé, molto spesso affidati a specialisti di arte islamica, meno preparati tuttavia sul versante di quella hindu che con l'altra si integra invece dando vita alle forme assolutamente uniche elaborate su suolo indiano. A proposito di completezza, il requisito vale anche in un altro senso, cioè l'attenzione a espressioni molto particolari, come la raffigurazione di città nel Grande Stupa di Sanchi (III-I secolo a.C.), le sculture in terracotta del periodo Gupta (IV-V secolo d.C.), i pozzi, gli avori... Manifestazioni tutte di una visione che ravvisa nelle opere d'arte e nell'esperienza estetica dei fruitori la dimensione più libera e alta accessibile agli esseri umani, prefigurazione del nirvana o della salvezza finale del riassorbimento nell'Assoluto divino.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi