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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2014 alle ore 09:30.
L'ultima modifica è del 21 novembre 2014 alle ore 11:49.

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Una scena del film «Hunger Games»Una scena del film «Hunger Games»

Blockbuster all'americana o cinema d'autore francese? Nel weekend in sala i due titoli più attesi sono diametralmente opposti: «Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte I» è costruito proprio per svettare al box office; «Adieu au langage» di Jean-Luc Godard è un esercizio intellettuale adatto soltanto ai più cinefili. Deciso a dire la sua ai botteghini è anche il banale «Scusate se esisto» di Riccardo Milani.

Diretto da Francis Lawrence, il terzo capitolo di «Hunger Games» inizia esattamente dove è finito il precedente: Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) è riuscita ad annientare per sempre i sanguinosi giochi e si prepara a guidare la rivolta contro il presidente Snow (Donald Sutherland). Ad aiutarla anche la Presidente Coin, interpretata da Julianne Moore.
Già diverse saghe in passato hanno deciso di dividere l'ultimo episodio per ragioni meramente commerciali: si pensi a «Twilight» e a «Harry Potter». In entrambi i casi, il primo dei due capitoli finali soffriva di una prolissità eccessiva e di una serie di dialoghi tirati troppo per le lunghe: «Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte I» non fa eccezione ed è vittima dei medesimi problemi.
Seppur forte di un apparato visivo e sonoro spettacolare, il film fatica a intrattenere adeguatamente e il messaggio politico che porta avanti è ormai ridondante e fin troppo esplicito.

I fan probabilmente gradiranno, ma gli incerti difficilmente riusciranno ad appassionarsi al terzo capitolo della fortunata saga ispirata ai romanzi di Suzanne Collins.
Cast altalenante (Jennifer Lawrence si conferma in un momento di stanca, dopo il pessimo «Una folle passione» di Susanne Bier), ma ritrovare il compianto Philip Seymour Hoffman è senza dubbio un piacere.
Decisamente più profondo e suggestivo è «Adieu au langage», l'ultima fatica di Jean-Luc Godard. La trama (protagonisti sono un uomo, una donna e un cane) non ha alcuna importanza: quello che interessa al regista francese (classe 1930) è riflettere sul linguaggio del cinema, sul suo passato e futuro.

Premiato allo scorso Festival di Cannes, «Adieu au langage» è certamente un prodotto sperimentale e difficile da inquadrare (Uno sberleffo? Un canto funebre alla settima arte? Un esercizio intellettuale costellato di svariati riferimenti?), ma Godard prosegue con grande coerenza nel proporre tematiche che ha affrontato per tutta la sua carriera, riuscendo ancora a stupire e sorprendere. Colpisce, tra i tanti spunti, il maestoso lavoro sulla stereoscopia (è un film che ragiona sul 3d, vederlo in due dimensioni avrebbe poco senso) con alcune scelte visive che lasciano a bocca aperta: in primis l'idea di scomporre l'inquadratura, separando e poi ricongiungendo l'immagine in tre dimensioni.
È un film che si può amare o odiare, ma in ogni caso non lascerà indifferenti. E tanto basta.

Sorte molto diversa è quella di «Scusate se esisto» di Riccardo Milani. Una commedia fiacca ed edulcorata, vittima di un buonismo insopportabile e di svolte narrative poco credibili e ancor meno coinvolgenti. Un prodotto che di cinematografico ha ben poco con attori mai in parte: Raoul Bova e Paola Cortellesi, nei panni di una coppia decisamente sui generis, compresi.
Infine, da segnalare che lunedì 24 novembre avrà luogo la prima nazionale (presso il cinema Mexico di Milano) di «Ti si legge in faccia» di Andrea Castoldi, un film indipendente e auto-prodotto incentrato sulla crisi economica e su personaggi che, pur di dare una possibilità al proprio futuro, sono disposti a vendere persino un lembo della propria pelle come fosse un cartellone pubblicitario.

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