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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 09:17.
L'ultima modifica è del 20 novembre 2014 alle ore 09:19.

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Gli artisti del Rinascimento erano tutti incredibilmente versatili. Michelangelo era pittore, scultore, disegnatore, architetto e anche poeta, Raffaello pittore e architetto, Leonardo sapeva fare di tutto ed era persino musico. Le loro “sedi” di lavoro non assomigliavano affatto ai moderni atelier d'artista quanto piuttosto a officine. In un unico spazio, spesso ridotto, si disegnava, dipingeva, scolpiva, modellava, fondeva o ricamava, a seconda delle richieste della committenza. Paradossalmente, la luce era poca e l'aria irrespirabile, pregna d'odori e rumori.

In un habitat come questo dovette svolgersi l'avvincente avventura artistica dei fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo, che furono largamente attivi nella Firenze di metà Quattrocento e che ora sono i protagonisti di una mostra meravigliosa allestita al Museo Poldi Pezzoli di Milano. La rassegna poggia su approfondite ricerche, raccoglie pezzi selezionatissimi (di qualità superlativa) e porta alla ribalta risultati nuovi e clamorosi. Di questi tempi, un vero miracolo. In più, è realizzata con forze ridotte e domestiche: tre curatori (Aldo Galli, Andrea di Lorenzo e Annalisa Zanni) e due allestitori (Luca Rolla e Alberto Bertini). Punto e basta. A latere, la Fondazione Bracco, che con discrezione e lungimiranza ha assicurato le risorse necessarie perché questo “miracolo” d'indagine e di intelligenza potesse prendere corpo.

Veniamo alla mostra che - badate bene - va assolutamente vista a costo di fare carte false. Il progetto è partito da un quadro, il più rappresentativo del museo, quello che gli Amici del Museo Poldi Pezzoli chiamano familiarmente «La nostra Pollaiola». Si tratta del meraviglioso profilo di giovane donna (uno dei ritratti femminili più affascinanti di tutto il Rinascimento) che è sempre stato oggetto di una accanita disputa attributiva. Chi l'ha dipinto? Antonio o Piero del Pollaiolo?

Per rispondere a questa domanda i curatori hanno pensato bene di riunire a Milano tutti i profili femminili usciti dalle mani dei fratelli Pollaiolo e di risolvere la questione. Confronti serrati tra le opere, accanite osservazioni e sottili ragionamenti hanno portato alla formulazione del seguente verdetto: i celebri quattro profili rivelano tutti lo stile - morbido nei modellati e fiammingheggiante nei dettagli – che è tipico di Piero del Pollaiolo, mentre al fratello Antonio, più tagliente e nervoso nelle linee, spetta senz'altro il primato della produzione scultorea.

Figli di un pollivendolo al Mercato Vecchio di Firenze, i due fratelli - Antonio il primogenito, nato nel 1431-1432, e Piero più giovane di dieci anni - sono sempre stati giudicati con il metro fissato da Vasari: Antonio geniale e poliedrico, orafo, scultore, architetto ma soprattutto grande pittore. Piero, invece, solo un collaboratore del fratello maggiore, un aiuto di bottega. Ebbene, una più attenta rilettura dei documenti e delle fonti ha offerto ai curatori un quadro piuttosto diverso. Antonio fu certamente il più geniale dei fratelli ma dipinse molto poco. Il suo genio si espresse nell'oreficeria, nel disegno e nella scultura in bronzo, argento, terracotta, stucco e perfino sughero. Antonio è riconoscibile per il segno tagliente e incisivo, per un registro espressivo intenso e spesso drammatico. Piero, invece, è stato il vero pittore della coppia, con un'evidente predilezione per la pittura fiamminga che si è tradotto nella ricerca di effetti preziosi, nella formidabile imitazione di broccati, sete e gioielli, nella poetica dissolvenza di vasti paesaggi vibranti di luce.

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