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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2014 alle ore 08:16.

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È risultato, nel complesso, decisamente interessante questo Ritratto di una capitale che il neo-direttore del Teatro di Roma, Antonio Calbi, ha ideato e realizzato fra le prime iniziative della sua gestione, in collaborazione col regista Fabrizio Arcuri: il progetto comprendeva ventiquattro brevi testi – divisi in due serate, replicati nelle due serate successive e riuniti alla fine in un'unica impegnativa "maratona", avvenuta ieri al Teatro Argentina – in cui altrettanti autori, ovviamente romani o variamente legati alla città, raccontavano a modo loro ventiquattr'ore della sua vita.
Calbi ha sempre avuto una particolare predilezione per questo genere di collage teatrali, che aveva già promosso anni fa a Milano. Ma la "maratona" milanese, a quanto ricordo, aveva un andamento più frammentario e bozzettistico, mentre il Ritratto di una capitale prende a mio avviso un altro respiro riflessivo, e non soltanto perché avviene nel maggior teatro della città, e in un contesto che ha bisogno di un forte rilancio culturale. Così, a braccio, ho avuto l'impressione di una comunità che sente molto il bisogno di interrogarsi sulla propria identità e sui propri problemi attuali.
Ogni testo fa ovviamente storia a sé, ogni testo esprime un proprio stile, un proprio punto di vista. Ma a uno sguardo d'insieme potrei dire – da osservatore arrivato dall'esterno – che Roma, in questa sorta di autoanalisi o di confessione collettiva, sembra dare un'immagine di sé molto più inquieta, molto più angosciata di quanto si potesse pensare. Diversi autori hanno inquadrato situazioni di violenza, fisica o psicologica. Ma ad affiorare è un più ampio smarrimento, come il senso di una segreta perdita, di un vuoto che si è creato nella coscienza di questa società, nella sua capacità di fare i conti coi propri valori e con le proprie tradizioni.
Il tema forse più trattato, quello che pare imporsi con maggiore urgenza riguarda il confronto con "l'altro", l'immigrato, l'extra-comunitario: più che il sospetto nei riguardi dell'estraneo, più che il timore per la propria sicurezza sembra prevalere in questo caso la percezione di una minaccia al comune senso di appartenenza dei nativi. Al di là del rapporto con indiani o rumeni si coglie in questo affresco una strana nostalgia, nostalgia del passato in quanto tale, di com'erano i luoghi, le persone, ma anche il rimpianto di un'ipotetica armonia perduta, forse solo sognata, e l'esigenza di colmare uno scollamento tra gli individui, le etnie, le generazioni.
Per quanto riguarda le singole mini-pièce – precedute la prima sera da una dotta introduzione di Corrado Augias, che ha tratteggiato le ragioni storiche per cui Roma è da considerare una «capitale mancata», e la seconda da una stralunata lettera alla città dell'incrollabile Franca Valeri – ho personalmente preferito quelle che affrontavano la questione da una prospettiva più trasversale, in una chiave a volte onirica e surreale, rispetto ad altre viziate da eccessive tentazioni localistiche.
Per questo mi è piaciuta – anche grazie alla magistrale interpretazione di Sandro Lombardi e Roberto Latini – Angeli cacacazzi di Elena Stancanelli, che immagina l'incontro un po' beckettiano fra una figura della Roma di ieri, il poeta Victor Cavallo, e Leroy Johnson, il ballerino di Saranno famosi, due entità sospese fra la vita e la morte, fra le minuzie quotidiane e l'oblio di un labile aldilà. Mi è piaciuto, sul versante più legato alla cronaca, Roma est di Roberto Scarpetti, che ricostruisce un episodio realmente accaduto, l'uccisione per futili motivi di un'infermiera rumena da parte di un ragazzo. La scrittura è scarna, incalzante, ottima la recitazione di Lucia Mascino e del giovane Josafat Vagni.
Ascanio Celestini, nel suo Kiss me, ricostruisce invece il caso delle studentesse-prostitute, una vicenda di "cene eleganti" e ordinaria ipocrisia. Valerio Magrelli fa dialogare un'anziana signora di buone maniere e un tossico incazzato, al pronto soccorso, di notte. Elvira Frosini e Daniele Timpano salutano da un pigro oltretomba l'annunciata rinascita di una Roma sepolta sotto le sue macerie, Emanuele Trevi dà voce, per bocca di Eleonora Danco, alla famigerata zanzara-tigre.
Un cenno a parte, in questa variegata kermesse, va riservato a Fabrizio Arcuri, che pur in condizioni di assoluta precarietà riesce a inventare una micro-regia per ognuno dei brani rappresentati, a Luca Brinchi e Roberta Zanardo dei Santasangre, che fanno lo stesso con l'impianto scenografico, a Daniele Spanò, autore dei video, e al gruppo rock Mokadelic, che cura il martellante accompagnamento musicale.
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Ritratto di una capitale, un progetto di Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri, visto a Roma, al Teatro Argentina

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