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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2014 alle ore 18:21.

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Non sarà stata immune da un'inevitabile emotività fisica e mentale. Né da un non meno faticoso affondo interiore, rinnovato prima, durante e dopo la rappresentazione. Sforzo che, sicuramente, ha richiamato mondi sedimentati nel corpo e nello spirito. E riaffioranti da un paesaggio interiore nel frattempo mutato. Riprendere a distanza di quasi vent'anni “Fiordalisi”, uno degli spettacoli cardine della poetica di Raffaella Giordano, da sola in scena, non è impresa che lascia illesi nell'anima. Né dell'interprete, né dello spettatore se questi si lascia andare all'ascolto vero, alla visione altra. Perché quest'esigenza di raccogliersi sull'intimità del sé per poi aprirsi all'altro grazie ad una disponibilità di ascolto irreperibile senza silenzio, è una costante del lavoro dell'artista torinese. Cresciuta prima accanto a Carolyn Carlson nella fervida stagione alla Fenice di Venezia, poi con la Bausch, quindi cofondatrice del gruppo Sosta Palmizi, e, ancora, interprete e coreografa in proprio e con Giorgio Rossi, e maestra carismatica di allievi, Giordano è protagonista di rilievo della nostra scena già dagli anni Ottanta. Rivederla oggi in questa creazione – grazie alla rassegna “DnaMemory” nell'ambito del Romaeuropa Festival – ha l'effetto dirompente di una verità della danza alla quale le nuove generazioni dovrebbero guardare, per imparare la consapevolezza della potenza del corpo.

Delicato, diafano, rigoroso, “Fiordalisi” non racconta una storia, non ha una trama. Con un vocabolario semplice ma calibratissimo, un distillato di passi, di slanci, di sussulti che contengono la fatica di procedere nella notte interiore, “Fiordalisi” è basato su sofferenze personali della stessa autrice. Un dolore, quindi, raccontato attraverso silenzi e gesti eloquenti più delle parole. Vestita con un semplice abito scuro, volto aristocratico, vediamo Giordano, a sipario aperto, già seduta, con lo sguardo altrove, per un lungo tempo immobile, in attesa, quasi a lasciarci il tempo di entrare nel suo mondo. Quell'attesa raccoglie piccoli stimoli, il corpo si muove con calma, si alza, si china, si stende, freme piano. In una scena spoglia illuminata da una lampada, quello spazio di vuoti e di pieni diventa il luogo in cui frammenti della memoria e dell'inconscio si animano. Dall'immobilità iniziale prende vita una partitura gestuale minuta e attorale – con quelle braccia alla Bausch –, con piccole esplosioni di momenti caldi che evoca immagini quasi tormentose di un corpo alla ricerca disperata di un'identità. Si odono solo rumori di spari, di aerei, pianti di bambini, rintocchi di campane, brandelli di parole e di musica, che aprono visioni, conflitti e ferite personali. Non vi è nessuna desolazione, solo coscienza e coraggio della propria condizione. Tutto si chiude con i segni dell'inizio, come un fiore in via di estinzione poco dopo essere nato. In questo emozionante assolo che riempie lo spazio disadorno di una presenza rarefatta e concreta allo stesso tempo, sono presenti tutta la fragilità umana, la paura di esserci, di perdersi, il dubbio, l'insicurezza vissuta come consapevole atto di coraggio, il desiderio di evadere nel sogno ad occhi aperti, nel ricordo che ritorna. C'è innocenza, stupore, incertezza, disagio, malessere, speranza. C'è la vita. Quella di Raffaella Giordano è un teatro-danza dell'esperienza e della sensibilità, dove il ritmo non sta nei gesti ma nelle immagini e in un movimento anzitutto interiore. Dove ci si ritrova a trattenere il fiato fino alla fine.

Fiordalisi”, coreografia e interpretazione Raffaella Giordano, luci Maurizio Viani, musiche originali Bruno de' Franceschi, collaborazione alla drammaturgia Danio Manfredini, produzione Associazione Sosta Palmizi 1995 in collaborazione con Comune di Longiano (FO) e Comune di Cortona (AR). Al Piccolo Eliseo per il Romaeuropa Festival.

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