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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2014 alle ore 16:31.

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Imperatore nelle guerre | Tiziano (1480-1576), «Carlo V (1500-1558) ritratto a cavallo, alla Battaglia di Mühlberg», 1548Imperatore nelle guerre | Tiziano (1480-1576), «Carlo V (1500-1558) ritratto a cavallo, alla Battaglia di Mühlberg», 1548

Di grande interesse, nella forma e nella sostanza, è il linguaggio affidato ai fitti scambi epistolari imposti dalla lentezza delle comunicazioni, dal bisogno di ricevere e trasmettere informazioni, di far conoscere le proprie opinioni sugli eventi e di sentire quelle degli altri. Un linguaggio talora ironico, ma più spesso carico di indignazione e talora rabbioso, che il timore delle spie rende talora criptico, cifrato («il nostro gramuffo», lo definiva il cardinal Gonzaga), basato su parole in codice e pseudonimi nella cui labirintica trama l'autrice guida il lettore. Per esempio, Carlo V è Sansone, Paolo III Cerbero, Cacco o Polifemo, l'alleanza antifarnesiana l'imperio anticacchico, i cardinali sono i ciclopi mentre Roma è il ciclopico antro o la spelonca (o meglio la speloncaccia di Cacco) e andare a Roma è speloncare, cosa che i cardinali antifarnesiani devono guardarsi bene dal fare (mai, mai, mai, mai, dico mai speloncar mentre che vi è l'Orco!). E poi gli aspri libelli polemici contro papa Farnese, «razza sgualdrina», «ingiustissimo et iniquissimo patre et indebitamente detto pastore universale», «questo Antichristo, questo mostro horrendo», «pontefice malvagio et ignorante», «inimicissimo di Dio». La durezza dello scontro e i sentimenti di rabbia e di indignazione che si manifestano in questi scritti risaltano con crudezza dalle parole con cui nel 1544 il cardinal Gonzaga si rallegrava di poter dire che il papa «non solo sia fritto, ma mangiato et caccato senza reverenza et ridotto già in polvere». Nelle illusorie speranze e negli inestinguibili odi che vi traspaiono, essi consentono di capire in presa diretta l'incalzare di uno scontro politico denso di valenze religiose e di passioni ideali. Uno scontro destinato a esaurirsi dopo il conclave del 1549-50, con il fallimento delle candidature imperiali alla tiara a causa delle divisioni interne del partito filosburgico e con il rapido delinearsi negli anni seguenti del primo tracollo finanziario della corona spagnola, che avrebbe indotto Carlo V a rinunciare a una politica duramente antipapale, a dividere i suoi domini, a inserire l'Italia tutta nell'orbita spagnola e infine ad abdicare. È anche negli esiti di queste vicende che affondano le radici del lungo predominio cattolico e papale nella penisola italiana, dove l'imperatore a lungo invocato e atteso, come ai tempi di Dante Alighieri, alla fin fine non sarebbe mai arrivato.

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