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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2014 alle ore 16:50.

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Nicola CrocettiNicola Crocetti

A gennaio la rivista «Poesia» arriverà al numero 300. Un numero da festeggiare per tutta l'aritmetica che contiene: ventisei anni di ininterrotta e puntuale attività mensile, quasi quattromila poeti pubblicati, tra stranieri e italiani (la maggior parte dei quali proposti per la prima volta) e altrettanti saggi introduttivi e immagini, per un totale di trentacinquemila poesie. «Poesia» ha saputo coinvolgere centinaia di collaboratori, fotografi, critici e traduttori, suscitando ammirazione e consensi ben oltre i confini nazionali. Il suo comitato di redazione ha incluso personalità di statura mondiale, compresi i premi Nobel Iosif Brodsky, Tomas Tranströmer, Czesl/aw Mil/osz e Seamus Heaney.

L'internazionalismo e la varietà hanno contraddistinto la rivista fin dal primo momento; e un piglio deciso e anticonformista, che discende diritto dall'anima dell'editore, Nicola Crocetti. Giornalista, greco per metà, appassionato d'America, amico di poeti e traduttore, Crocetti aveva già fondato nel 1981 la Casa editrice che porta il suo nome e che si è distinta per l'eleganza della veste grafica, la qualità artistica della stampa e l'originalità dei titoli, a cominciare da alcuni grandi greci, come Ritsos ed Elitis.

La rivista veniva ad affiancare i libri all'interno di un progetto editoriale e culturale basato sulla convinzione che la poesia costituisce una parte fondamentale delle nostre vite. Crocetti voleva un periodico agile e facilmente reperibile, da distribuire non nelle librerie, ma nelle edicole, come i quotidiani o i rotocalchi che parlano di attualità. E ha realizzato il suo progetto con efficienza esemplare. La rivista ha avuto in certe annate particolarmente felici anche tirature di trentamila copie e, con le inevitabili fluttuazioni che regolano la vita di qualunque impresa commerciale, ha saputo mantenere un pubblico di lettori da far invidia alle analoghe riviste prodotte in altri Paesi occidentali.

Con «Poesia» Crocetti ha dimostrato che la poesia non è roba di nicchia o mangime ministeriale per gli scolari. Il grande pubblico chiede poesia e, soprattutto, ne chiede di sempre nuova. Se questa impresa ha avuto tanto successo, in gran parte è perché ha portato agli italiani mondi sconosciuti, producendo uno svecchiamento dei gusti che nella cosiddetta università non si oserebbe sognare. Per le pagine di «Poesia» sono passate le voci e le lingue più diverse, anche le più rare. Qui non c'è il piccolo e il grande, l'importante e il marginale. Qui tutti sono uguali, perché tutti, ciascuno come sa, mandano avanti la stessa cosa. E si ricordi che le traduzioni sono sempre accompagnate dal testo originale, a significare la collaborazione e il dialogo tra le Nazioni. «Poesia» è un grande esempio di civiltà, un monumento alla molteplicità delle tradizioni e un atto di fede nella bellezza degli idiomi.

L'entusiasmo e l'impegno dell'editore purtroppo non sono bastati a impedire che anche «Poesia» si incagliasse nelle secche della crisi finanziaria, dalle quali sembra proprio che non ci sia via d'uscita. Nelle secche, infatti, «Poesia» è giunta con le vele già stracciate, perché da sempre si regge grazie ai soli soldi delle vendite e degli abbonamenti. Insomma, stampato il numero 300, «Poesia» potrebbe chiudere e la festa tramutarsi in un triste addio.

«Poesia» ha bisogno di aiuto. Lasciare che smetta di svolgere la funzione che tanto onorevolmente si è data in questo più che quarto di secolo sarebbe assurdo. Che cosa può salvarla? In altri Paesi esistono fondi pubblici per imprese del genere… In certi si fanno avanti privati facoltosi, che amano la cultura e che credono ben spesi i soldi per le donazioni. L'Italia, per ragioni varie e per un fatalismo istituzionale che qui non è il caso di indagare, non ha dimostrato finora di eccellere in nessuna delle due formule. Aiutare «Poesia» significherebbe un'inversione di tendenza, che si invoca ormai da più parti. Se non ci arriva lo Stato, forse ci possono arrivare le banche, gli industriali, i nomi della moda, il business del cibo o quello dell'arte, o qualche signora o signore illuminato… Sarebbe un sollievo per tutti se qualcuno di questi mettesse a disposizione un po' della sua forza economica; se si vedesse una buona volta anche in Italia collaborare soldi e letteratura. Sarebbe bello credere di nuovo che le cose che innalzano possono durare.

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