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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2014 alle ore 08:20.

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A quindici anni dalla morte, Stanley Kubrick rimane l'ultimo grande esempio di regista demiurgo, artefice dei suoi film in ogni singola inquadratura, stacco o passaggio musicale. Dire “kubrickiano” è diverso da dire “tarantiniano”, che indica un chiaro mix di citazionismo, violenza fumettistica e vintage; “kubrickiano” rimanda a qualità molto meno palpabili, come un'estrema ambizione creativa, la capacità di attraversare i generi, il rigore visivo unito a soluzioni spettacolari: una sorta di egomania in forma cinematografica.

Tra i registi in attività nessuno ha un'anima “kubrickiana” come David Fincher e Paul Thomas Anderson: arrivati come lui al cinema da giovanissimi, autodidatti smaniosi di imparare tutto su cineprese, ottiche, luci, perpetuano il mito del regista ultraperfezionista che estorce agli studios il controllo assoluto sui propri film; anche loro si sono cimentati con storie diversissime tra loro, e oltre all'eclettismo condividono con Kubrick il lavoro su adattamenti letterari. Proprio in questi mesi, entrambi tornano nelle sale con film tratti da romanzi: L'amore bugiardo di Fincher (il 18 dicembre in Italia) è tratto da Gone Girl, romanzo di Gillian Flynn che parla dei lati oscuri del vincolo matrimoniale, le apparenze, la falsità dei sentimenti; Vizio di forma di Anderson (a dicembre negli Usa, a febbraio in Italia), tratto dal romanzo omonimo di Thomas Pynchon sulle disavventure di un detective privato nella Los Angeles degli anni 70. C'è chi ha visto L'amore bugiardo come un'opera sorella di Eyes Wide Shut, l'ultimo film di Kubrick in cui Tom Cruise e Nicole Kidman interpretano tutto il campionario di ipocrisie nascoste dietro l'amore di una coppia upper class.

Vizio di forma invece, almeno a giudicare dal trailer in stile noir comico-grottesco e cast all-star (Joaquin Phoenix, Josh Brolin e Reese Witherspoon), fa pensare a come sarebbe stato Il grande Lebowski se l'avesse girato lo stesso Kubrick: in apparenza cazzone come l'originale, ma con una gravitas di fondo e quell'ironia nera con cui Kubrick scavava molto più a fondo di quanto i fratelli Coen abbiano mai voluto fare. Fincher è erede di Kubrick soprattutto nel feticismo della messa in scena, nelle sequenze acrobatiche e nel formalismo delle composizioni, Anderson nell'appropriarsi di tematiche molto eterogenee e nel raccontarle attraverso immagini di ampio respiro; il primo predilige il virtuosismo a un più accurato lavoro sui personaggi, che spesso si riducono a tipi umani standardizzati, mentre Anderson spesso abbandona l'iperuranio registico a beneficio di una maggiore empatia con le vite dei personaggi. La grandezza di Kubrick stava proprio nel saper coniugare l'osservazione fredda di un entomologo con la fascinazione per il latente della psiche umana, il tutto calato nella più sofisticata macchina cinematografica. Forse Fincher e Anderson un giorno dovrebbero girare un film insieme, e unendo le forze potrebbero avvicinarsi un po' di più alla perfezione del maestro.

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