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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2014 alle ore 08:20.

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E pensare che alla prima edizione del Grande Fratello (2000) molti gridarono allo scandalo (del contenuto), e pochi capirono come quel sorprendente show potesse cambiare per sempre la tv (la sua forma). Quando Amici di Maria De Filippi si chiamava ancora Saranno famosi (2001), si dava troppo spazio ai litigi tra ragazzi senza scorgere il potenziale da nuovo varietà del programma. E ancora: 2003, prima edizione dell'Isola dei famosi, righe su righe sul degrado della civiltà e solo qualche cenno al montaggio narrativo e ironico dello show.

Indizi tralasciati di ciò che oggi è ovvio: i reality, tacciati di essere strapopolari (e quindi, per forza di cose, pieni di ogni mostruosità) e iperindustriali (nati per riempire ore e ore di prime serate e appuntamenti daily), si stanno prendendo la loro rivincita. Un po' perché il pensiero comune si è evoluto, e quindi il «dagli al reality» è passato assai di moda. Un po' perché dovrebbe essere ormai chiaro che il trash è ben altro, spesso programmi ritenuti di approfondimento. Un po' perché il genere ha subito un'inesorabile evoluzione. Riempie ancora i palinsesti, ma nelle sue punte più avanzate lascia intravedere una matura costruzione stilistico-narrativa. È ancora per le masse, ma riesce a parlare a target differenti, a deliziare anche un pubblico esigente, a declinarsi in molteplici letture.

Sarà perché, essendo un gioco e una gara (questo lo differenzia dalla tv verità), il reality tende spesso a prendersi poco sul serio, utilizzando molta ironia, merce rara nella nostra tv. Qualcosa poi è cambiato quando all'essere se stessi, vera fede del genere, si è aggiunto il saper fare. E cioè quando il reality ha abbracciato antichi ambiti spettacolari facendosi talent. A differenza di illustri predecessori (Primo applauso, 1956, condotto da Enzo Tortora, tra i debuttanti il mago Silvan e Adriano Celentano), il talent odierno lega la bravura artistica al privato dei concorrenti. Inebriato da ballo, canto, moda e chi più ne ha più ne metta, il reality/talent cerca però la spettacolarità (molto si deve a X Factor versione Sky, dal 2011): grandi videowall, effetti scenografici, regia curata, coreografie costruite. È un mix tra la cura formale di Studio Uno e i colori sgargianti di Fantastico: il talent diventa una nuova evoluzione del varietà, e contagia pure Rai 1, vedi il grande successo di Tale e quale show, nazionalpopolare un po' camp.

Fiorivano intanto negli ultimi anni anche reality/talent senza diretta, studio, televoto, ma giocati sul perfetto racconto in differita. Il caro e vecchio montaggio, cruccio già dei primi cineasti, torna così oggi a essere l'elemento chiave per costruire, da ore e ore di ripresa, una narrazione perfetta. E l'albume montato ad arte acquista tutto un altro senso in MasterChef. Uno stile che viene sempre più applicato anche alla realtà fuori dagli studi: nasce così il docu-reality dedicato a vite al limite, e portato al successo ad esempio dal canale Real Time.

Negli anni 2000, il reality era una metafora-mondo: tutto o quasi si spiegava con le sue dinamiche, dalla politica alla cronaca, segno della penetrazione di quell'immaginario nel discorso comune. Adesso il reality/talent è anche genere-forma, e cioè modella con un proprio inconfondibile stile, sì anche bello, vecchi generi spettacolari e il mondo che ci circonda. Se i talk facessero proprio il montaggio narrativo di Pechino Express per raccontare la politica, forse risalirebbero negli ascolti.

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