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Questo articolo è stato pubblicato il 03 dicembre 2014 alle ore 08:23.
L'ultima modifica è del 03 dicembre 2014 alle ore 11:11.

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Per i lettori depravati e feticisti – categoria a cui appartengo – gli epistolari sono lo You-Porn della letteratura. Le lettere d'amore di Flaubert a Louise Colet, con il giovin scrittore che fa il marpione finché non si è portato a letto la scrittrice affermata e poi sempre più insofferente alle assillanti richieste della Milf, rientrano tra le most viewed della categoria mature. Quel fitto ricamo di formalismi e premure nel carteggio Mishima-Kawabata («In questa stagione così torrida abbia particolare cura della sua salute»; «Stia bene, malgrado questa calura, e mi scusi per l'altro giorno») tra due scrittori che si sono tolti la vita, ha qualcosa di macabro ma irresistibilmente comico e può ambire alla categoria hentai.

Sapere in che stanza verrà sistemato l'ospite Nietzsche a casa Wagner o avere notizie sul catarro del Maestro per qualcuno potrebbe essere, se non più, tanto interessante quanto assistere alla nascita del Sigfrido (categoria German). Insomma, a seconda di gusti e predilezioni, nei carteggi ognuno può scovare ghiotto materiale per le sue masturbazioni letterarie. Solo negli epistolari si trova quella dimensione home made, quel tono confidenziale, quella rassicurante meschinità del quotidiano. Perché da che mondo è mondo, gli esseri umani quando non parlano male dei propri simili – cioè quasi mai – parlano sempre delle stesse cose: Sogni & Bisogni, Amori & Guai, Danni & Malanni.

Questo, dunque, l'inestimabile tesoro che riposa negli epistolari e si tramanda nei modi più disparati. Ma come si conserva? C'è chi come Cortázar ha battuto a macchina le sue lettere calcandole con la carta carbone (vedi la bella selezione recentemente pubblicata da Sur), chi come gli amanuensi le ha ricopiate con pazienza per raccontarci l'amore tra Abelardo ed Eloisa e chi come Max Brod, le ha sottratte al fuoco contravvenendo alle volontà di un amico.

Quel che mi chiedo adesso è: gli scrittori si scrivono ancora? A giudicare da un delizioso volume, “L'arte delle lettere: 125 corrispondenze indimenticabili” (Feltrinelli), sembrerebbe proprio di sì. Per gli amanti del genere ce n'è per tutti i gusti: da una lettera di candidatura di Leonardo da Vinci alla corte di Ludovico Sforza – oggi lo avrebbero liquidato con un generico «le faremo sapere» – al tenero biglietto con cui Iggy Pop rincuora una sua fan in crisi. Ma in futuro si pubblicheranno ancora libri come questi?

È lecito supporre che le persone non smetteranno mai di scriversi, ma a variare inesorabilmente è il supporto: oggi tutti si scambiano valanghe di mail, sms, tweet, selfie. E di questo immenso patrimonio digitale, che cosa arriverà ai posteri? Per quanti anni si conserveranno ancora i dati? A quale destino editoriale andranno incontro? Un domani si pubblicheranno forse gli e-mailari? O magari gli e-pistolari? E se un attacco terroristico su scala planetaria colpisse i server dei maggiori provider, cosa resterebbe della corrispondenza tra Amis e McEwan? E Franzen, avrà dei backup delle mail di David Foster Wallace? Non scherzo, è una questione seria, che mi angoscia non poco. E voi, amici scrittori? Vi scrivete ancora? Salvate le vostre mail? Le mettete sulla pennetta? Le stampate? Rispondete! E scrivetemi. Mi sento così solo.

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