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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2014 alle ore 14:48.
L'ultima modifica è del 02 dicembre 2014 alle ore 15:55.

La scenografia di Lorenzo Banci, da set cinematografico, ideata per “Quai Ouest. Approdo di ponente” di Bernard-Marie Koltès, con la regia di Paolo Magelli, risulta determinante ai fini della messinscena. Un bel colpo d'occhio nel meraviglioso spazio del teatro Fabbricone. A terra una distesa di fango vero, scivoloso, bagnato, dentro al quale camminano, cadono, corrono, s'imbrattano i personaggi. Di fronte, rialzata, la panchina di un porto fluviale. In un lato, degli enormi container accatastati l'uno sopra l'altro che fungono da casa-rifugio.
A rendere ancora più realistica l'ambientazione sarà, a un certo punto, una fitta pioggia a bagnare i relitti umani che abitano quel luogo abbandonato di una città imprecisata, territorio d'illegalità, di vite sospese e ai margini della società, dove “nessuno verrebbe disarmato, senza motivo”. Personaggi disperati, gente che si vende, si compra, cerca di sedursi, di uccidersi, tutto nell'unica logica possibile: quella dettata dal denaro. Con una scansione temporale che segna l'avvicendamento del giorno e della notte, inizia al buio, con solo due voci smarrite che vagano tentoni in quell'oscuro hangar (luogo suggestivo che ispirò Koltès dopo un viaggio negli Stati Uniti).
Sono un uomo e una donna, due persone borghesi: Maurice, un dirigente d'azienda in fuga da un imminente processo per un misterioso crack economico e determinato a porre fine alla propria vita, e Monique, la segretaria avvenente che vorrebbe impedirgli il folle gesto. L'approssimarsi della luce stanerà una fauna umana di emarginati e stranieri, tra cui Abad, figlio di una famiglia d'immigrati africani, che sventerà il suicidio dell'uomo il cui proposito, nel frattempo, avrà innescato appetiti sulla sua roba, compravendite vertiginose, patteggiamenti, scambi, rivelando pulsioni e scelte opposte e devastanti.
Figura muta, apostrofato con la parola “negro”, succube di una famiglia ispano americana dedita a traffici, in ultimo Abad ribalterà le sorti di quel consorzio umano di gente in lotta per la sopravvivenza, prendendo un mitra e sparando a raffica. Di questo testo attualissimo che parla dell'emergenza che viviamo, dei conflitti e delle migrazioni, coi temi cari al drammaturgo francese scomparso prematuramente nel 1989, il regista Magelli ne fa un “graffiante, tragico affresco che annuncia inequivocabilmente la fine della nostra cultura e della nostra civiltà”, emblema di un luogo dove è tramontata ogni etica, moralità, giustizia, senso della famiglia, valore della vita.
Mettendo in scena solitudini, violenze e sopraffazioni, in contrasto con quella sprezzante, incrollabile arroganza dei ricchi che dominano ogni rapporto, e la fame disposta a tutto degli ultimi, dei miseri, degli immigrati privi di permesso di soggiorno, “Quai ouest. Approdo di ponente” si rivela foriero della realtà del nostro tempo grazie a una regia che pone l'accento sulla possibile valenza politica della parola dello scrittore francese, accentuandone la vena tragica. Uno spettacolo duro, potente, cui contribuiscono le musiche di Arturo Annecchino - un requiem cantato, in quattro brani, contaminato di sonorità balcaniche -, e un cast di vibrante e corale resa interpretativa: Paolo Graziosi, Alvia Reale, Fabio Mascagni, Valentina Banci, Mauro Malinverno, Francesco Borchi, Francesco Cortopassi, Elisa Cecilia Langone.
“Quai Ouest. Approdo di ponente”, di Bernard-Marie Koltès, traduzione Saverio Vertone, regia Paolo Magelli, dramaturgia Željka Udovičić, scene Lorenzo Banci, costumi Leo Kulaš, musiche Arturo Annecchino, luci Roberto Innocenti. Produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana in collaborazione con Spoleto57 Festival dei 2Mondi. Al Fabbricone di Prato.
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