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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2014 alle ore 08:15.

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Nel Protagora di Platone, Socrate ascolta, appunto, Protagora che parla, e non appena termina, con sottile ironia, commenta: aveva finito di parlare ma era come se parlasse ancora. Socrate, cioè, era stato vittima di un'allucinazione sonora. Le parole di Protagora gli devono essere sembrate suggestive, emozionanti, e proprio per questo chiede al suo avversario (in una divertentissima tenzone) di cambiare metodo di discussione: per favore, frasi brevi e concise, così da evitare le allucinazioni sonore e provare a ragionare. Spesso in questo complesso mondo moderno, stimolante, interconnesso e veloce, abbiamo poco tempo per approfondire alcuni temi seri. Vorremmo essere slow, capire, riflettere, ma in realtà siamo fast, cerchiamo cioè soluzioni sbrigative e senza tanti conflitti, e allora – e questo capita soprattutto nei momenti di crisi – preferiamo quelle narrazioni assolutorie (il male è altro da noi), oppure diamo credito a concetti molto evocativi ma che, dopo un'analisi di buon senso, risultano vuoti. È il caso, per esempio, della parola decrescita: ha attecchito (e non solo nei salotti) ed è in pieno sviluppo vegetativo, basta pensare a quanti festival culturali vedono ospite Latouche. Viene voglia di capirci di più, anche perché si nutre il sospetto che la teoria sia confusa e proprio per questo ottimo nutrimento per le nostre anime anch'esse confuse (nonché benestanti, stanche e annoiate). Ci vorrebbe dunque un saggio, come dire, socratico, dialogante, frasi brevi e concetti precisi, analisi storica e dati. Insomma capace di diradare la nebbia emotiva. C'è, e si intitola: Contro la decrescita. Perché rallentare non è la soluzione di Luca Simonetti. Simonetti è al secondo libro, il primo era un breve pamphlet (Mangi chi può, meglio, meno e piano, Mauro Pagliai) dove l'autore affrontava l'ideologia di slow food e cercava di spiegare in che modo Carlo Petrini aveva trasformato una compagnia di ghiottoni di sinistra, quindi con sensi di colpa, in un movimento (reazionario) che esalta la narrazione del cibo, cioè ci fa mangiare, anche in abbondanza, senza farci sentire in colpa. Ora, la principale qualità di Simonetti è l'ascolto, sarà la formazione professionale (è un avvocato).
Prende molto sul serio quello che tu dici e poi piano piano comincia a farti domande, così per capire meglio, ti chiede le fonti, i riferimenti storici, gli strumenti comparativi e analitici usati, e piano piano a forza di domande ed esempi, smonta il tuo ragionamento. Così nel saggio Simonetti individua le varie versione della decrescita: la decrescita intesa come riduzione del Pil, come riduzione dei consumi, riduzione del tempo dedicato al lavoro, fuoriuscita radicale dall'economia di mercato. Passa poi a descrivere i vari tags della decrescita: la differenza tra merci e beni, la crescita infinita, i limiti della crescita, si stava meglio prima, l'agricoltura di sussistenza, e con puntiglio si mette a esaminarli: da dove vengono, a quali autori e quali correnti di pensiero sono ascrivibili? Sicuro che quelli della decrescita abbiano capito le conseguenze delle loro stesse teorie? Un esempio del metodo di Simonetti. Pallante propone la differenza tra beni e merci: lo stesso prodotto è un bene se viene autoconsumato o donato, mentre diventa merce se viene scambiato con denaro o altri prodotti; in alcune pagine lo smontaggio di alcuni capisaldi, come per esempio la suddetta differenza, raggiunge momenti comici.
Insomma: se un bene relazionale viene venduto, diventa una merce e allora (dice Latouche) «lo sfruttamento può diventare feroce e l'impatto materiale non indifferente». È come se – commenta Simonetti – il mero contatto con il denaro contaminasse il bene, mutandone la natura. «Immaginiamo un contadino che coltivi pomodori. I suoi pomodori li consumerà in parte in famiglia, in parte li scambierà per ottenere qualcosa che da solo non potrebbe procurarsi. A questo punto la teoria di Pallante porta necessariamente a concludere che i pomodori del contadino, fra loro identici perché prodotti sullo stesso pezzo di terra e con gli stessi metodi, si differenziano però dal punto di vista qualitativo (alcuni pomodori saranno qualitativamente "molto migliori") per la sola ed esclusiva ragione che gli uni vengono consumati dal contadino gli altri scambiati con denaro». Volete un esempio ancora più assurdo, domanda Simonetti: «Se suono il pianoforte in una sala da concerto, davanti a un pubblico composto da 175 spettatori paganti e 5 amici che ho invitato e che non hanno pagato il biglietto, sto contemporaneamente producendo merce per 175 persone e un bene per altre cinque. Quindi 5 persone ascolteranno un concerto che sarà molto migliore di quello ascoltato dai 175: il pezzo che ho suonato sarebbe un bene e una merce, quindi insieme qualitativamente molto migliore e molto peggiore di se stesso». Di fronte a fatti simili, rimpiangi subito Carlo Marx. Quello che si capisce leggendo il libro è che la decrescita attecchisce perché di fatto chiede tutto (la salvezza del pianeta, lavoro, beni e doni per tutti, tornare alla terra ma senza la zappa, uscire dal mercato e mantenere le istituzioni capitalistiche) senza davvero proporre un programma politico serio: che comprenderebbe un bilancio costi e sacrifici, ricavi e perdite (del resto la rivoluzione, si sa, non è un pranzo di gala). Un altro sentimento (si spera elitario) fa capolino talvolta tra i decrescisti: per quanto amino le belle parole e le nobili dichiarazioni di intenti, tanto nutrono odio verso la civiltà, verso l'uomo tecnologico e progressista, perché attraverso la scienza ha rotto il patto con la natura e il sacro. Savioli sostiene: «Non deve più esserci la grande industria: è incompatibile con la vita. E non devono esserci certi tipi di industrie, né grandi né piccole». Ecco, se ci pensate bene, queste dichiarazioni non sono isolate, in maniera più raffinata le sentiamo spesso pronunciare da tanti opinion maker e anche per questo immaginario il nostro Paese è stanco e fa fatica a risolvere i problemi, che ci sono eccome e che richiedono per essere affrontati strumenti moderni e analisi seria e dura: la logica deve crescere e non decrescere.

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