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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2014 alle ore 08:14.

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di Carola Barbero
Una donna guarda l'altra tendendo la mano con il palmo rivolto verso l'alto, forse invitandola a replicare, ma l'altra ha lo sguardo fisso e stringe la borsetta con le mani senza dire nulla. Non è una conferma del famoso credo di Emil Cioran per il quale il «vero contatto fra gli esseri si stabilisce solo con la presenza muta, con l'apparente non-comunicazione, con lo scambio misterioso e senza parole che assomiglia alla preghiera interiore», è invece la bellissima copertina – di Marcello Miglietta (http://mmcomunicazione.it/) realizzata a partire dalla una scultura di Tom Corbin The conversation – del libro a cura di Carlo Penco e Filippo Domaneschi che raccoglie una serie di saggi dedicati al tema, sempre attuale, del rapporto tra semantica e pragmatica. Come noto, Charles Morris nel 1938 suggerisce di distinguere le discipline in cui si articola lo studio del linguaggio in sintassi, semantica e pragmatica, dove la prima si occupa delle relazioni tra le espressioni astraendo da ciò che queste designano, la seconda delle espressioni linguistiche e di ciò che queste designano senza tener conto del resto, mentre la pragmatica tratta tali espressioni linguistiche precisamente facendo riferimento all'uso dei parlanti.
Nonostante la distinzione di Morris sia molto chiara, non è così semplice stabilire, relativamente al significato letterale di un enunciato, che cosa sia di competenza della semantica e che cosa della pragmatica. Che cosa dobbiamo includere in ciò che è detto? Qual è il confine tra l'esplicito e l'implicito? Il contesto di proferimento influisce sulle condizioni di verità dell'enunciato? Ecco gli interrogativi ai quali What Is Said and What Is Not cerca di trovare una risposta, partendo da quello che è il presupposto di questo interessante dibattito, ossia l'identificazione di significato letterale e condizioni di verità. Significato convenzionale, significato letterale e condizioni di verità si identificano, come vuole l'ortodossia del paradigma dominante oppure, pur riconoscendo l'identificazione tra ciò che è detto (la proposizione espressa) e le condizioni di verità dobbiamo ammettere il divorzio di questo dal significato convenzionale, ossia quello determinato solo dalle convenzioni linguistiche e dalla sintassi? Questa è l'alternativa alla base del dibattito che, pur trattando di problemi fondazionali di filosofia del linguaggio, è ancora oggi tra i più accesi.
Le posizioni sostenute nei vari saggi, tutte molto articolate e ben argomentate, sono di tre tipologie: alcune difendono la priorità della semantica sulla pragmatica (Stojnic & Lepore, Stanley, Vignolo, Bach e Carpintero) in base alla convinzione che il significato convenzionale sia fondamentale per stabilire ciò che è detto, altre argomentano a favore della priorità della pragmatica (Bianchi, Wearing, Recanati e Carston) a partire dall'idea che la quasi totalità degli enunciati del linguaggio naturale siano radicalmente sensibili al contesto, mentre altre ancora si caratterizzano come posizioni alternative (Korta, Garmendia, MacFarlane, Corazza & Dokic, Devitt, Perry) che escono dall'uno o dall'altro coro o perché sono critiche di entrambi, oppure perché cercano un compromesso, o infine perché ritengono sia arrivato il momento di rivedere i punti di partenza della discussione.
Chi avrà la meglio? Ai posteri l'ardua sentenza (nel frattempo appassioniamoci leggendo questi contributi acuti e provocatori!). Per i lettori interessati a questi temi ma non troppo "informati sui fatti", c'è l'Introduzione alla pragmatica di Domaneschi che comincia chiarendo le nozioni di significato e contenuto all'interno della pragmatica, passa poi ad analizzare il rapporto tra ciò che è comunicato e ciò che è detto, tratta quindi del ruolo giocato dal contesto e dalle presupposizioni nel significato espresso dagli enunciati, successivamente espone la teoria degli atti linguistici (che chiarisce come accada che il linguaggio sia usato non solo per descrivere ma anche per compiere vere e proprie azioni), passa poi dagli enunciati ai testi e alle regole che stanno alla base delle conversazioni, concludendo con una parte dedicata agli sviluppi cognitivi della pragmatica. È un libro scritto molto bene in cui la chiarezza e la brillantezza dello stile non vanno mai a scapito del rigore espositivo. Per evitare quelle inferenze indebite, comuni nei lettori "voraci", in cui si crede che basti leggere per capire, Domaneschi offre anche, alla fine di ogni capitolo, alcune domande di autovalutazione, per consentire al lettore disattento di valutare se è il caso di tornare indietro, facendo al tempo stesso in modo che il lettore diligente possa divertirsi con qualche domanda alla quale riesce a rispondere senza esitazione.
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Carlo Penco, Filippo Domaneschi (a cura di), What Is Said and What Is Not, The Sematics/Pragmatics Interface, Stanford, CSLI, pagg. 344, $ 35,00; Filippo Domaneschi, Introduzione alla pragmatica, Roma, Carocci,
pagg. 316, € 24,00.

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