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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2014 alle ore 08:14.

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Lo stupore del Natale di Giovanni Santambrogio, appena edito dalla casa editrice Ancora con prefazione del filosofo Umberto Galimberti (pagg. 160, € 29,50), entra nel mistero dell'Incarnazione leggendo e interpretando 4 quadri: Annunciazione di Lorenzo Lotto, Adorazione dei pastori di Caravaggio, Annuncio ai pastori di Sano di Pietro, Adorazione dei Magi di Dürer.
Proponiamo uno stralcio dell'introduzione. Corre il tempo. Il grande giorno che appariva lontano incomincia ad avanzare. Una voce sale: parole che portano l'eco di una chiamata. Non sarà una giornata come le altre. Sarà più importante: sarà una festa. Tutti sono invitati, nessuno è stato escluso. Corre il tempo. Come a teatro basta il levarsi del sipario per cambiare scena, così l'albeggiare di ogni mattino prepara nuove sorprese. Le ore dell'Avvento splendono di una luce diversa. Nel loro scivolare via lavora la sorpresa del giorno che verrà. Una musica silenziosa accompagna i sentimenti, un pensiero inespresso scava nelle profondità del cuore. Le tensioni continuano ad accavallarsi senza tregua e le attività quotidiane non mutano. Eppure qualcosa sta per accadere. Le settimane si caricano di attesa all'avvicinarsi della meta. Magia di una notte. Sì, è la notte Santa. Come il ciclo delle stagioni pur ripresentandosi non è mai identico, così accade per la notte Santa: nessuno ne ricorda una eguale. Una primavera si distingue sempre dalla precedente e un inverno non è mai lo stesso, così la notte delle notti: nella memoria ognuna si fissa con una propria e specifica caratteristica. La natura e la vita amano la sinfonia, ne apprezzano la libertà che si allarga man mano scorrono le sue note. Ricordi dimenticati riaffiorano per raccontare le ore della festa.
Chissà, forse è questa sensazione che sale da dentro a trasfigurare tutto, quasi a voler gridare che la vita può cambiare e un orizzonte nuovo accogliere le fatiche di ogni momento. L'esperienza scossa da un fremito schiude alla speranza.
È quel che prova Edith Stein quando nel gennaio 1931 tiene una conferenza a Ludwigshafen, la città tedesca che si specchia sulla riva sinistra del Reno. Molti la ascoltano. L'allieva preferita del padre della fenomenologia, Edmund Husserl, è conosciuta e stimata per la sua acutezza. Di famiglia ebrea polacca, ha alle spalle anni di ateismo. Non le manca però l'ansia di cercare nei fatti, grandi e semplici, di tutti i giorni il significato ultimo delle "cose stesse" come le aveva insegnato l'anziano maestro. Per risalire alla verità occorre passare dall'esperienza. Soltanto chi partecipa allo spirito di quel che accade entra in rapporto con la realtà. Ecco il segreto della vita che la Stein chiama empatia, una chiave che apre le porte di ciò che è nascosto. Quante situazioni non riusciamo a capire, eppure appaiono davanti ai nostri occhi. Quante sensazioni proviamo in una giornata, eppure restano senza un nome. Noi non ci conosciamo, abbiamo ancora da scoprire chi siamo. Compiamo azioni, operiamo scelte, incontriamo persone, dialoghiamo con amici ma ciò che accade e la personalità di chi sta con noi sfuggono. Perché? Non abbiamo condiviso a sufficienza, la distrazione ha prevalso sull'empatia. Sapere è vivere. La Stein suggerisce di abbandonarsi alla concretezza della vita perché se lo sguardo penetra nella realtà e ne scruta l'identità, anche in noi scatta una conoscenza nuova. Innanzitutto di noi stessi perché cadono i veli che mascherano i nostri limiti. L'Io trova la strada della luce e la forza per dichiararsi. L'empatia svela ciò che in noi è assopito.
Ecco il miracolo del Natale. Corre il tempo. La meta è più vicina.
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