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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2014 alle ore 07:11.

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Lo so anch'io che i tempi delle case editrici sono lenti. Ci sono i contratti da negoziare, le prenotazioni delle librerie da chiudere con mesi di anticipo, le fasi di composizione e di stampa da considerare. Con il risultato che tra quando finisci un libro e il momento dell'uscita può passare anche molto tempo (nel suo piccolo, questo articolo doveva uscire il mese scorso ma è slittato su questo numero). Detto ciò, mi ha stupito un po' lo stesso leggere Festa del perdono, il bel libro collettivo pubblicato da Bompiani a settembre.

L'idea è semplice, un po' narcisista e ben costruita. Sei autori più o meno affermati, nati intorno alla fine degli anni Sessanta, partono dalla loro esperienza comune alla facoltà di lettere e filosofia della Statale di Milano per raccontare il ventennio perduto della Seconda Repubblica: la lunga stagione del declino e dell'avvilimento di un'intera generazione.
Ciascuno di loro lo fa a modo suo, ma la tonalità dominante è quella del disincanto: tutto è finito ancor prima di cominciare. «Non ci sono state fratture, solo abbandoni» scrive Alessandro Bertante, mentre Aldo Nove evoca i protagonisti di un film che a nessuno è venuto in mente di girare, con le comparse che si aggirano ancora su un set immaginario «sempre più incattivite, sempre più arrabbiate con tecnici del suono che non ci sono, nel silenzio assordante di un'esistenza che non ha mai attecchito».

Per Antonio Scurati il progresso si è rivelato «un convoglio stanco, deviato a esaurire la propria corsa su di un binario morto». E Giacomo Papi riassume un po' il sentimento di tutti quando dice di aver sempre aspettato «che i fatti lo invitassero a ballare» senza che questo si sia mai prodotto.

Sono sensazioni familiari per chiunque abbia più o meno l'età degli autori che hanno il merito di averle cristallizzate in una forma particolarmente nitida. Fino a qualche mese fa non ci sarebbe stato nulla da aggiungere: un bel libro, sei piccoli apologhi dolenti che rispecchiano abbastanza fedelmente la condizione di molti di noi. Eppure, da allora, qualcosa è successo. Per lo meno a livello politico, una rivoluzione generazionale si è prodotta. I trenta-quarantenni che sembravano destinati a non scendere mai in campo (tutt'al più ad essere lentamente cooptati) hanno preso il potere senza chiedere il permesso a nessuno e si sono pure messi a esercitarlo con un certo vigore.

Ora, capisco che questi sviluppi possano risultare un po' scomodi, per un progetto editoriale che sarà stato concepito da prima (tipico esempio di quei «cattivi fatti che rovinano le belle idee» di cui parlava sempre Lucien Febvre). E capisco anche che la rivoluzione generazionale della politica abbia poco a che vedere con uno spleen esistenziale consolidato nei decenni. Ma il problema è che Festa del perdono non è un oggetto puramente letterario. Si propone, fin dal risvolto di copertina, come un insieme di cronache in grado di gettare «qualche occhiata alle spalle e parecchie avanti». L'idea è quella di tracciare il bilancio, anche politico, di una generazione che gli autori considerano sconfitta in partenza.

Da un libro del genere, pubblicato nell'autunno del 2014, ci si aspetterebbe almeno un riferimento a quanto sta accadendo. Poco importa se a favore o in contrario. La rivoluzione generazionale italiana può essere considerata una grande opportunità oppure l'ennesima contorsione di un sistema imbarbarito: entrambe le posizioni sono legittime. L'unica cosa un po' difficile è far finta che non sia avvenuta. O meglio, si può fare anche quello, ma poi diventa un po' più dura sostenere che il mondo non ti abbia mai invitato a ballare perché sei nato nel momento sbagliato.

A me non risulta che il mondo abbia mai spedito a nessuno biglietti d'invito su cartoncini Pineider. In ogni caso c'è chi, oggi, ha grosso modo l'età di Papi, Scurati & co. e si è invitato da solo. Nessuno dice che si debba essere d'accordo. Però si è aperta una finestra di opportunità nella quale la generazione dei trenta-quarantenni avrà la possibilità di provare a giocare una partita per cambiare le cose. Poi è chiaro che qualcuno entrerà in pista mentre altri si aggrapperanno alle pareti, proprio come succedeva alle feste da ballo dell'adolescenza.

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