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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2014 alle ore 08:14.
Scrittore, drammaturgo, autore del manifesto Charta 77, lungamente incarcerato per motivi politici, protagonista della Rivoluzione di velluto del 1989, presidente della Repubblica Ceca. Si tratta, come avrete capito, di Vaclav Havel, che è autore di questo libro piccolo ma intenso, intitolato La politica dell'uomo e pubblicato ora da Castelvecchi (che aveva già pubblicato il suo formidabile Il potere dei senza potere). La politica dell'uomo raccoglie cinque saggi, scritti prima del 1989 e sostanzialmente uniti dal tema principale. Quest'ultimo ha a che fare con la perdita dell'innocenza e del mistero. Innocenza e senso del mistero sono perduti quando da ragazzi si diventa adulti, ma anche quando la società industriale avanzata cancella il passato in nome di un supposto progresso. Come per Marcuse o per Pasolini, la vicenda personale e quella sociale si intersecano e si sommano. Il trait d'union è costituito da un'oggettività prepotente che intende sostituire dappertutto la soggettività e la spontaneità. Quasi superfluo aggiungerlo, la causa di tutto ciò è la commistione tra scienza moderna e modernizzazione industriale. La scienza e l'industria moderne annichiliscono la natura e ne tradiscono il senso. Le conseguenze – e come potrebbe essere diversamente per un artista quale Havel? – sono innanzitutto estetiche, ma diventano poi etiche. La bruttezza del paesaggio tardo-industriale è il sintomo di un degrado progressivo dei sentimenti. La risposta a questo imbarbarimento dovrebbe consistere in un (problematico) recupero delle origini, del naturale, del terreno e delle radici. La colpa non è poi tutta della scienza moderna, ma anche e soprattutto dell'arroganza di un uomo che gioca a fare Dio.
Le tesi di Havel sposano quelle del cosiddetto «modernismo reazionario», riprendendo anche temi cari all'esistenzialismo, per cui l'oggettivizzazione scientifica della realtà è anche la causa della creazione di una burocrazia arbitraria e di un dominio indistinto. Insomma, come dire che Galileo è il padre di Stalin. E i regimi totalitari del secolo ventesimo sono i frutti maturi della razionalizzazione occidentale, che si è poi espansa perversamente tramite il colonialismo. Va da sé che posizioni del genere, anche quando – come nel caso in questione – sono sostenute con l'eleganza e la profondità di un grande scrittore sono assai controverse e poco condivisibili. Ma, a ben pensarci, la tesi di Havel è ancora più strana, se esaminata politicamente e non solo dal punto di vista culturale. La tematica della nostalgia reazionaria per un mondo perduto si sposa infatti, per il dissidente anti-comunista Havel, con un profondo interesse a chiedere il supporto dell'Europa Occidentale e degli Stati Uniti. Sembra normale però ritenere che il mondo capitalistico cui si chiede aiuto sia ancora più lontano di quello comunista da quello arcadico che piace tanto a Havel. Cosa che condanna a una sorta di loop bizzarro, che Havel stesso riconosce invocando una utopica politica dell'antipolitica come leva per uscire dallo stallo.
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Vaclav Havel, La politica dell'uomo, traduzione italiana di Massimo
Gary Simbula, Castelvecchi, Roma, pagg. 52, € 7,50
premio palmi 2014
Il Premio Palmi 2014, XX edizione, è stato assegnato al saggio Il professor Gramsci e Wittgenstein (Donzelli Editore, Roma, pagg. VI-186, € 18,00) scritto da Franco Lo Piparo, docente di Filosofia del linguaggio all'Università di Palermo e nostro collaboratore