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Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre 2014 alle ore 08:15.

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Esiste o no un esercizio del potere al femminile? Esiste o no un'inevitabile divisione di ruoli nella società tra uomini e donne con i primi destinati a funzioni pubbliche e le seconde indirizzate a quelle private? Esiste o no, in definitiva, una sostanziale, insuperabile differenza fra i due sessi, derivante dalle stesse leggi della natura, tale da imporne comportamenti, attitudini, modelli di pensiero profondamente tra loro distanti?
Questi, e tanti altri a questi connessi, gli eterni interrogativi in cui ci si imbatte ogniqualvolta si tocca il tema della presenza della donna in incarichi politici, senza un'effettiva soluzione di continuità dalle giustificazioni pseudoscientifiche sull'inferiorità femminile, lasciateci da antichi maestri quali Aristotile od Esiodo, su su lungo i secoli delle streghe, dell'incarnazione nelle donne del peccato dei sensi, dell'assenza in loro di una razionalità riservata agli uomini ed ancora delle lente conquiste di dignità individuale dopo la Rivoluzione dell' '89 o del ritardato diritto di voto nelle democrazie, fino alle attuali quote rosa (vittoria o ennesima sconfitta pure questa?), mentre diviene sempre più intollerabile il perdurante tragico confronto con mondi "altri", culturali e religiosi, prepotentemente alla ribalta nella realtà globalizzata di oggi,che ne negano ogni presenza sociale, se non subordinata all'uomo, vietandone persino la visibilità personale.
Un indiretto contributo a cercare di portare ulteriori elementi utili a comprendere, alla luce delle vicende della storia, quanto l'"altra metà del cielo" ha realizzato nello svolgere compiti di altissima responsabilità politica, è affidato alle esemplificazioni di questo agile lavoro di sintesi, curato da Donatella Campus in accordo con il Comitato Pari Opportunità dell'università di Bologna. Nelle sue pagine scorrono gli avvenimenti che ebbero a protagoniste alcune personalità femminili, certo straordinarie per virtù personali e per condizioni sociali, ma che pure seppero comprendere le opportunità offerte nei loro tempi, trasferendo in positivo le chiusure e le ostilità presenti nelle società in cui operarono.
Ecco, allora, Federico Condello presentarci un approfondito ritratto della regina d'Egitto Cleopatra, colta nella pienezza della sua valenza mitica perdurante dall'età augustea fino ad oggi. Le narrazioni più o meno documentate della sua vicenda storica, con l'enfasi finale dedicata alla spettacolarizzazione del suicidio, si sono da subito alternate con una ritrattistica aneddotica e romanzata dove la sua figura era di volta in volta rappresentata come divoratrice di uomini, voluttuosa seduttrice, o martire vittima della ragion di stato. Senza dimenticare le tante rappresentazioni pittoriche succedutesi lungo i secoli e le più recenti numerose trasposizioni filmiche di una vicenda che con tutta evidenza continua a suscitare, di generazione in generazione, un sentimento di coinvolgente partecipazione. Bene fa l'autore a richiamare in proposito la dimensione politico-culturale del ruolo svolto da Cleopatra, già agli occhi dei contemporanei, di problematico punto d 'incontro tra la virile potenza del mondo romano e le mollezze di un orientalismo di maniera, quasi eterna raffigurazione dello scontro tra i due sessi a tutto vantaggio, evidentemente, della superiorità fisica e morale del primo. Ricordandoci pure che il potere politico della regina sembra fuoriuscire dalla dimensione della realtà storica per diventare eterno simbolo di tutti i sentimenti, di tutte le passioni, di tutti gli idealizzazioni, che si intrecciano nelle scelte dell'umanità: dove pubblico e privato sempre si mescolano, la politica dei grandi obbiettivi e dei solenni principi sempre deve fare i conti con le esigenze di singoli, le speranze collettive dei popoli sempre vengono condizionate dalle motivazioni dei loro governanti, uomini e donne che siano, con Cleopatra ed il suo potere regale a far da compendio inestricabile di tale insuperabile condizione.
Ancora sovrane, principesse e nobildonne a dar sostanza ad un ruolo di potere politico ricoperto da donne nel Medioevo. Ce lo dimostrano i due persuasivi ritratti di Matilde di Canossa e di Ildegarda di Bingen disegnati nell'intervento di Francesca Roversi Monaco. Dove si descrive un'epoca che, ad onta dei luoghi comuni sulle sue chiusure, apriva spazi di presenza femminile ai vertici più alti della gestione della cosa pubblica finanche internazionale, irradiantesi dalle corti e dai monasteri affidati per vicende ereditarie e nobiltà di lignaggio alle loro cure.
Fu la Rivoluzione francese a rimettere in discussione simili opportunità tutte derivate dall'appartenenza di casta: nella società borghese dell'uguaglianza dei diritti e dei doveri non parve affatto naturale riconoscere alle donne una loro paritaria presenza nella dimensione pubblica, mentre il positivismo ottocentesco si sforzava di trovare ragioni oggettive per relegarle nei limiti del privato. E questo, proprio mentre industrialismo, società di massa, esplosioni rivoluzionarie coinvolgenti le nazioni nel loro insieme, richiedevano all'universo femminile una partecipazione sempre più attiva alla vita collettiva. Una contraddizione che fu colta e combattuta dalla prima convenzione "femminista" approvata negli Usa al congresso svoltosi a Seneca Falls nel 1848. Vi fu stilato un manifesto, la Dichiarazione dei sentimenti, che volgeva in positivo la diversità della donna dominata dai sentimenti (ne parla Maria Pia Casalena): proprio per questa condizione la gestione della politica doveva esserle affidata, nella certezza che il senso di giustizia, di tolleranza, di umanità avrebbe trionfato per l'intera società.

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