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Questo articolo è stato pubblicato il 27 dicembre 2014 alle ore 09:41.

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Le criticità della lettura digitale di cui si parla più spesso sono note: la scarsa ergonomia dello schermo, l'affaticamento oculare, la facilità della distrazione e così via. Ma in un saggio su Tablet Magazine (The Dagger of Faith in the Digital Age), Ryan Szpiech della University of Michigan illumina un tratto sottovalutato: la diffusione del modello “motore di ricerca”, l'idea del testo come luogo dove una frase può essere trovata nel giro di pochi istanti. Sembra una cosa da poco, ma in realtà è un'autentica inversione di ruoli.

Prima era il testo a comandare e a imporre un andamento: ora invece puoi piegarlo per intero alle tue esigenze, a ciò che pensi sia rilevante a priori. Ma, c'è un ma. Szpiech fa parte di un team di filologi al lavoro sull'edizione critica del Pugio fidei, un manoscritto del XIII secolo. Ora, uno dei dettagli chiave del Pugio sta in un'assenza: una terza colonna di testo mancante ripetuta per tutto il codice. Ma come si trova uno spazio vuoto, quello spazio vuoto, con Google? È impossibile: un mio amico ricercatore che fa più o meno lo stesso lavoro dice che l'unico modo è «leggere il più lentamente possibile». Secondo Szpiech, però, l'enorme capacità di data retrieval dei motori di ricerca ha ferito a morte tale tipo di lettura.

Certo ha molti lati positivi, ma suggerisce anche di scambiare la conoscenza per informazione: l'approccio alle parole assomiglia a quello di un consumatore più che a quello di un allievo. Si perde, in sostanza, la serendipity dello scritto: la sua capacità di sorprenderci, l'inaspettato, la scoperta di dimensioni inedite. Nel classico Nella vigna del testo, Ivan Illich sottolinea come ancora nel Basso Medioevo la “cercabilità” fosse pari a zero. Gli elenchi alfabetici non esistevano e così la divisione in capitoli: la difficoltà di reperire i passaggi era gigantesca, lo sforzo mnemonico enorme. Leggere era avventurarsi ogni volta in un territorio dai confini mutevoli, in cui qualcuno aveva piantato dei paletti (una miniatura, una glossa) ma dove era sempre possibile perdersi. Non frequentiamo questo tipo di lettura da secoli, ormai; e le nostalgie sono inutili. Ma lo «scambio faustiano», per citare Neil Postman, non si elude: dove guadagniamo in dominio e rapidità di ricerca perdiamo in pluralità del godimento e della scoperta. I codici medievali, ancora oggi, ci ricordano tale rischio con la loro presenza disturbante: così degna di simboli, così resistente a ogni estratto o frase topica da cercare con un click.

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