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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2014 alle ore 07:06.

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Tempo fa il critico inglese Mathew Ingram stabilì che, così come gli anni 70 ebbero i Led Zeppelin, i 2000 hanno avuto gli Animal Collective. Il che potrà suonare azzardato ai più, perché chi sono i Led Zeppelin lo sanno tutti, mentre gli Animal Collective restano patrimonio di una supposta élite di intenditori, anche se a ben guardare i loro dischi sono pure finiti nella Top 20 di Billboard.

Ingram non ne faceva comunque una questione di quantità; semmai, era faccenda di zeitgeist: chi meglio degli Animal Collective ha saputo incarnare quell'immaginario fatto di serial HBO, hipsterismi American Apparel, Brooklyn Renaissance e video virali su YouTube? L'unico serio contendente era probabilmente Panda Bear, che degli Animal Collective è, se non il leader, quantomeno il nome più in vista: il suo Person Pitch del 2007 fu eletto disco del decennio da quella specie di bibbia per blogger à la page che era Gorilla Vs. Bear; il più ecumenico Pitchfork lo piazzò invece al nono posto nella similare classifica The Top 200 Albums of the 2000s, dopo Radiohead e Arcade Fire, ma prima di Kanye West e White Stripes (oltre che degli stessi Animal Collective). La sua musica è colorata, zuccherina e incontenibilmente gioiosa, sebbene viziata da un'inconfondibile patina drogata che ogni volta obbliga a rispolverare l'aggettivo “psichedelico”. Per circa un decennio, queste arie a metà tra Beach Boys, elettronica sghemba, pop da cameretta e postumi da MDMA, sono state la colonna sonora ufficiosa di tutte le Portlandia sparse per l'Occidente.

E però è scorretto ridurre Panda Bear (il cui vero nome è Noah Benjamin Lennox) a iconcina a uso e consumo degli ex twentysomething responsabili di agghiaccianti parchi a tema yé-yé come, chessò, Williamsburg. Innanzitutto, a Williamsburg, Panda Bear manco ci vive più: sono anni che si è trasferito in Europa e per la precisione a Lisbona, debitamente al di fuori delle classiche rotte indie-giovaniliste. E poi, così come gli Animal Collective sono stati veramente un gruppo chiave di tutto quell'underground finito per sbaglio nelle playlist di gente col cofanetto di Girls sul comodino, Person Pitch resta un manifesto più umorale che generazionale del decennio Zero. Il successivo Tomboy era meno bello, ma ovviamente ebbe persino più successo.

E adesso Lennox torna con un nuovo album, Panda Bear Meets the Grim Reaper, piacione e stonato, oltre che parente stretto delle Teenage Symphonies to God intonate a suo tempo da Brian Wilson. Il disco è prodotto da Peter Kember in arte Sonic Boom, quello degli Spacemen 3 a cui dobbiamo l'immortale massima «Taking Drugs to Make Music to Take Drugs To», ma arrivati a questo punto di estasi chimica ce n'è poca: lo ascolti e ti viene più da pensare a un'intossicazione da glucosio.
Immagino che piacerà comunque, perché alla fine è già un classico, ma alla fine su Whole Lotta Love resteranno sempre i dodici minuti di Good Girl/Carrots (che però risalgono a otto anni fa).

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