Cultura

Il teorico della società del rischio

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Il teorico della società del rischio

  • –Alberto Mingardi

Ulrich Beck, morto la sera di Capodanno, è stato fra i più noti sociologi contemporanei. La sua fama è legata in larga misura a un'analisi fortemente critica della globalizzazione, della quale ha più volte sottolineato gli aspetti problematici.
È noto per aver teorizzato una "società del rischio" nella quale discontinuità di vario genere (dal cambiamento climatico al terrorismo internazionale) rendono obsolete visioni del mondo e prassi consolidate. Il suo libro sulla Risikogesellschaft vide la luce nel 1986, appena prima dell'incidente di Chernobyl, e si caratterizza per una riflessione circa la natura dei rischi fronteggiati dall'umanità, in misura sempre maggiore legati al progresso tecnologico.
Per questo il ventunesimo secolo ha visto Beck fra i protagonisti del grande show del dibattito pubblico internazionale. Quanto più il mondo è interconnesso, tanto più ci confrontiamo con incognite onnipresenti e difficili da padroneggiare. La risposta a questa esplosione del rischio e alla minaccia di "crisi globali sincronizzate" risiederebbe per Beck in forme di cooperazione internazionale, nel segno di un superamento dello Stato nazionale. "Dopo" la statualità non vi sarebbe pertanto qualcosa di tutt'ora imprevedibile e necessariamente diverso, semmai una sorta di riproposizione, su più vasta scala, di meccanismi non dissimili da quelli che ne hanno decretato il successo. Non a caso, Beck stesso immaginava che nuove istituzioni internazionali potessero essere la risposta a nuove paure, generate da eventi sconvolgenti quali l'11 settembre.
In un suo libro recente, scritto assieme alla moglie Elisabeth Beck-Gernsheim, L'amore a distanza. Il caos globale degli affetti (Laterza, 2012), Beck è tornato a occuparsi del tema dell'evoluzione della famiglia. Se agli albori della nostra storia «il legame geografico rappresentava il connotato decisivo della famiglia», oggi tale legame è messo in crisi nel quotidiano vivere di persone di ogni ceto sociale, dalle classi dirigenti agli immigrati: si tratti di rapporti allacciati via social network o di coppie biculturali. La "globalizzazione" degli affetti è un fenomeno ancora tutto da esplorare. Senza tacerne i problemi, i Beck coltivavano una speranza: che «quante più identità una persona ospita dentro di sé, tanto più semplice diventa comprendere la prospettiva degli Altri esclusi». Le famiglie internazionali, fragili ma anche forti in virtù delle molteplici appartenenze, potrebbero rivelarsi scuola di tolleranza.
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