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L'avventura di Lucio Amelio

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Arte

L'avventura di Lucio Amelio

  • –Ada Masoero

A vent'anni dalla scomparsa di Lucio Amelio, Napoli accende nuovamente i riflettori sulla sua figura di grande gallerista, committente e motore di cultura con la mostra-omaggio del Madre, il Museo di arte contemporanea che ha raccolto il frutto del suo impegno e della missione che si era dato. A Napoli Amelio (1931-1994) lavorò dal 1965 alla morte, contribuendo a formare una generazione di grandi collezionisti di arte contemporanea. E non a caso la mostra, curata dal direttore del museo, Andrea Viliani, con Laura Cherubini, Michele Bonuomo e Abo, che gli furono al fianco, è in larga misura – come usa dire oggi – "a chilometro zero", fitta com'è di prestiti del migliore collezionismo locale: a riprova del fatto che non sempre sono necessari capitali esorbitanti per dar vita a progetti espositivi di grande respiro e di assoluta serietà scientifica, quale questo è.
Della sua azione di gallerista animato dalla volontà di connettersi con la città e le sue istituzioni, la mostra segue un ventennio scarso, dal 1965, quando esordì, aprendo la Modern Art Agency a Parco Margherita, fino al 1982, l'anno in cui, con le sorelle, istituì la Fondazione Amelio e avviò il progetto di Terrae Motus, la collezione in progress ora esposta nella Reggia di Caserta, concepita dopo il terremoto che devastò l'Irpinia nel 1980 come segno del potere della cultura e dell'arte di riportare la vita dove c'era solo distruzione. Un progetto, quello, con cui realizzava la sua idea di arte come lievito del contesto sociale, civile e culturale, che lo aveva già indotto a collaborare con istituzioni come il Museo di Capodimonte, dove grazie a lui giunsero – tra gli altri – il Grande Cretto Nero, 1978, donato al museo da Alberto Burri, e il Vesuvio di Andy Warhol.
Così il percorso della mostra si apre e si chiude con i progetti del museo e centro culturale per il contemporaneo che Amelio intendeva creare nel monastero di Santa Lucia al Monte, qui circondati dagli inviti e dai materiali d'archivio (centinaia i documenti esposti nell'intera rassegna, moltissimi inediti) delle mostre che presentò in galleria, e si dipana poi rileggendo la sua attività espositiva attraverso molte delle opere che espose.
Sono Lucio Fontana, Piero Manzoni, Paolo Scheggi, Alberto Burri, con i napoletani Renato Barisani e Bruno Di Bello, ad aprire i giochi (siamo nella seconda metà degli anni 60), subito seguiti da Jannis Kounellis, campione di quell'Arte povera di cui Amelio sarebbe stato, in "tempo reale" e per tutti gli anni 70, un promotore entusiasta, grazie anche alla presenza in città dei giovani collezionisti Marcello e Lia Rumma, che nel 1968 organizzarono ad Amalfi la fortunata mostra «Arte Povera+Azioni Povere»: sala dopo sala si susseguono così Kounellis, con le sue opere fatte di materie primarie – ferro, carbone, juta, caffè e fuoco – esposte nella personale del 1969 con cui Amelio inaugurò la sede di piazza dei Martiri e poi subito Pistoletto (con l'iconica Venere degli stracci) in dialogo con Mario e Marisa Merz, con un lavoro aurorale di Calzolari e con Vettor Pisani. Dopo le sale monografiche di Paolini e Fabro (e, poco oltre, di Zorio), i 70 si chiudono con lavori inediti di James Lee Byars, artista oggi riscoperto anche negli Usa.
Da allora Amelio avrebbe abbandonato l'estetica essenziale degli anni 70 per inoltrarsi nella pittura. Ed è qui che entra in scena Andy Warhol: è il momento in cui il gallerista raggiunge il culmine del suo percorso, mettendo in dialogo due figure (e due filosofie) opposte come quelle dell'americano e di Joseph Beuys, l'esponente più radicale dell'idea, tutta europea, di un'arte immersa nella società. Nel 1980 li farà incontrare nella festa rimasta mitica che organizzò al City Hall Café di Napoli, da cui nacquero i ritratti di Warhol a Beuys. Ma dei due sono esposte anche opere impressionanti realizzate dopo il terremoto (il trittico Fate presto di Warhol e l'installazione Terremoto in Palazzo di Beuys), a cui si aggiungono l'emozionante lavoro di Nino Longobardi intitolato proprio Terrae Motus, ora acquisito dal Madre, e un'opera seminale di Tony Cragg (che da Amelio fece la sua seconda mostra in assoluto) realizzata con legni di recupero. Fino a Cy Twombly, Robert Rauschenberg, Gerhard Richter, Jasper Johns, Gilbert&George, Ronnie Cutrone...
Ma una storia di collezionismo e di mecenatismo non meno stupefacente è quella di Giuseppe Morra, che a Hermann Nitsch, il prediletto dei "suoi" artisti, ha dedicato addirittura un museo (e centro di elaborazione culturale per il contemporaneo) in un'ex centrale elettrica dell'ultimo '800 alle spalle di piazza Dante. E poiché Nitsch può contare anche su un museo a Mistelbach, in Austria, le due istituzioni si sono di recente scambiate le rispettive collezioni: Giuseppe Morra ha inviato in Austria i "relitti" delle azioni sanguinose messe in atto da Nitsch, che da sempre colleziona, e da Mistelbach sono giunti oltre 80 dei suoi poco conosciuti dipinti, tratti da dieci azioni pittoriche e riuniti in una mostra curata da Michael Karrer.
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Lucio Amelio. Dalla Modern Art Agency alla genesi di Terrae Motus (1965-1982). Documenti, opere, una storia..., Napoli, Museo Madre, fino al 9 marzo 2015. Catalogo Electa (in preparazione)
Hermann Nitsch. Azionismo pittorico-Eccesso e sensualità, Napoli, Museo Nitsch, fino al 28 febbraio 2016