Cultura

Valli in tutti i continenti

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Valli in tutti i continenti

  • –Raffaele Liucci

Un evento inaspettato. Bernardo Valli, il decano dei nostri inviati speciali, pubblica il suo primo vero libro a quasi 85 anni d'età. Una silloge di oltre mille pagine dei suoi migliori reportages dai cinque continenti, per «Il Giorno», «Il Corriere della Sera», «La Stampa» e «La Repubblica». L'evento è tanto più significativo se si pensa che lo stesso Valli non ha mai incensato le crestomazie dei colleghi («il macero ripulisce presto le librerie»). Ma questo pregevole volume non passa inosservato, propiziando alcune riflessioni a margine.
Innanzitutto, è fruttuoso riesumare antichi articoli? Quasi mai, a meno che non si tratti di frammenti non passeggeri, riuniti in un libro ben strutturato, da leggersi dalla prima all'ultima pagina (un esempio particolarmente riuscito è la recente miscellanea di Corrado Stajano, Destini. Testimonianze di un mondo perduto, Archinto); oppure, quando la raccolta di articoli compendia la biografia non comune di chi li ha scritti. È il caso del libro di Valli, sapientemente curato da Franco Contorbia, autore di un'informata – anche se a volte ostica – postfazione. Purtroppo, manca l'indice dei nomi: un malvezzo sempre più diffuso nella saggistica di qualità.
In secondo luogo, quale valore euristico attribuire ai singoli articoli di giornale? In fondo, rispecchiano soltanto «la verità del momento», un fluido biodegradabile in un batter d'ali. Sarebbe fuori luogo equipararli a generi letterari più meditati. Come osservò Guido Vergani, in garbata polemica con quanti dedicano dotti studi linguistici alle cronache cartacee, «nessuno fa conto di che cosa significa scrivere da giornalisti: significa scrivere in mezz'ora, in tre quarti d'ora, in sale stampa con duecento giornalisti, significa scrivere fra le bombe, con l'assillo spaventoso dell'orologio». Eppure, quest'antologia è congegnata in modo tale da superare la natura effimera della carta stampata. Suddivisi in sei aree geografiche (Italia, Europa, Africa, Medio Oriente, Asia e Americhe) e disposti in ordine cronologico, i "pezzi" di Valli condensano un diario in tempo reale dell'ultimo mezzo secolo. Dal Sudafrica dell'apartheid all'Uganda in preda all'Aids, dalla crisi della Quarta Repubblica francese alla primavera araba, dalla caduta di Saigon alla seconda guerra del Golfo, viste con gli occhi di un osservatore partecipe. Giungiamo così al terzo punto. Valli è sempre stato un «avventuriero disciplinato», con il cuore a sinistra, però mai oberato dai dogmi. Nel 1991 ha accolto come una tragica necessità la prima guerra del Golfo, pena l'arrivo di Saddam sino alla Mecca, ma dopo l'11 settembre ha deplorato la fallimentare crociata americana contro il terrorismo, da lui "coperta" sui vari fronti, da Kabul a Bhagdad. Eppure, non s'esime da un mea culpa per l'ingenuo ottimismo con cui diversi reporter della sua generazione applicarono alla decolonizzazione modelli tratti dalla storia europea, salvo poi incassare le dure repliche della realtà. Per non parlare del suo «pregiudizio favorevole» verso il Vietnam al tempo dei bombardamenti americani, «non il più bel Paese che abbia conosciuto, ma quello che ho amato e amo di più», forse perché coincide con «il ricordo della giovinezza». E tuttavia, con il senno di poi, come non dar amaramente ragione a quanti erano rimasti quantomeno tiepidi di fronte ai Viet Cong? Il quarto punto riguarda il mestiere d'inviato speciale, ormai in via d'esaurimento. Quando Valli debuttò nel giornalismo, l'inviato speciale era una finestra spalancata sul mondo. I suoi reportage passavano attraverso telex cigolanti e telefoni a singhiozzo. Ai nostri giorni, invece, «il reporter non può concorrere con lo schermo che mostra gli avvenimenti mentre sono in corso». Tutto è più asettico e ordinario: «Barzini senior in Cina era solo e isolato. Le sue corrispondenze ci mettevano settimane per arrivare al Corriere della Sera. Quella che veniva fuori era la "sua" Cina. Oggi l'informazione è migliore. Ma la Cina è, spesso, quella del computer». La guerra, invece, è rimasta uguale, «uno spettacolo soltanto al cinema». Valli non s'è ne persa una, negli ultimi cinquant'anni, senza mai esserne attratto: «un medico ama forse i tumori che esamina e studia?». C'è però una differenza fondamentale – e siamo al quinto punto – tra fare l'inviato di guerra per un Paese democratico ed esercitare lo stesso mestiere con il passaporto di un Paese autoritario. Se durante il secondo conflitto mondiale i grandi inviati come Montanelli, Lilli e Buzzati restavano di norma nelle retrovie, basando i propri servizi su veline ministeriali e testimonianze di seconda mano, oggi raccontare dal vivo la guerra è impresa rischiosissima, spesso mortale. Montanelli suppliva con le sue antenne sensibilissime e l'impareggiabile vena mitopoietica alla scarsità di fonti dirette. Valli non giustifica queste «audaci menzogne» (così Evelyn Waugh), però resta convinto che il buon giornalismo sia figlio dei Paesi con tradizioni mercantili, «perché essi hanno bisogno di notizie, per quanto possibile esatte». Negli altri Paesi prevalgono invece il "colore", le impressioni, le ideologie. Infine, quali i memorabilia di Valli, in questo tomo?
Non soltanto le guerre vissute in prima linea, ma anche diversi ritratti (il più toccante, quello di Wael Zuaiter, intellettuale palestinese ucciso a Roma dal Mossad nel '72) e molte pagine italiane (dalla Sicilia miserrima dei primi anni Sessanta alla Palermo del l'estate '92, all'indomani dell'omicidio di Falcone e Borsellino, passando per la Milano di Tangentopoli e la sua Parma, piagata dallo scandalo Parmalat).
Ma forse Valli rifulge particolarmente in due generi: il necrologio di un grande personaggio (Mitterrand), talvolta accompagnato dalla cronaca dei suoi funerali (Togliatti), e il "passaggio d'epoca" (la cacciata dello scià di Persia, la caduta del Muro, la fine del dominio inglese a Hong Kong). In poche decine di righe, restituisce perfettamente il senso di una stagione ormai al tramonto, in bilico fra passato e futuro.
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Bernando Valli, La verità del momento. Reportages 1956-2014, a cura
di Franco Contorbia, Mondadori, Milano,
pagg. 1.052, € 35,00