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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2015 alle ore 13:51.

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Cava de' Tirreni non è un posto qualunque. Trovatela voi nel profondo Sud una cittadina di provincia con 53mila abitanti che ha dato i natali a un padre nobile del giornalismo sportivo italiano come Gino Palumbo, allevato le sorelle De Sio, ospitato concerti di Pink Floyd, Prince e Dire Straits e battuto il Milan 2-1 a San Siro. Qualcuno la chiama la piccola Svizzera, qualche altro la valle del miracolo. Cava sarà pure a otto chilometri da Salerno ma guai a chiamarla provincia: un cavese doc ti risponderebbe che quaggiù è Napoli, tirando fuori angioini, aragonesi e pergamena bianca.

L'Uomo in Blues questo legame lo conosceva, ma ancora di più lo sentiva: tutte le volte che in quarant'anni di carriera gli era capitato di esibirsi allo Stadio Simonetta Lamberti era accaduto qualcosa di speciale. Pubblico esplosivo, in una cornice tutto sommato raccolta da 15mila spettatori. Mica per caso ci aveva registrato «E sona mò», il live album minimalista del '93. Quando nel 2011 un mito della sua giovinezza chitarristica, sua maestà Eric Clapton, gli ricambiò il favore della partecipazione al suo «Crossroads Guitar Festival» con l'adesione a un concerto benefico da tenersi in Italia, il primo pensiero di Zio Pino fu ovviamente il San Paolo di Napoli, ma dovette subito scartarlo perché, da un po' di tempo a questa parte, l'agibilità di quello stadio per manifestazioni extra-calcistiche è una variabile parecchio aleatoria. Il secondo pensiero fu il Simonetta Lamberti e il «matrimonio» stavolta si fece senza problemi di sorta.

È il 24 giugno 2011, luna di miele della rivoluzione arancione a Palazzo San Giacomo, la Campania ancora festeggia la qualificazione in Champions del Napoli dei tre tenori, facendo i conti con i postumi dell'ultima emergenza rifiuti. Eccoli, tutti e due, Daniele e Clapton, il discepolo e il maestro, soli sul palco. Ad armi pari: una Stratocaster per ciascuno. Potrebbe essere il duello finale, la scena madre, il piatto forte della serata ma si tratta soltanto dell'antipasto. I due si «affrontano» subito sul presente e sul passato, la cronaca e la storia della carriera di Zio Pino: prima «Boogie boogie man», title track dell'album dato alle stampe pochi mesi prima dal cantautore napoletano, poi «Napule è», il manifesto della «Terra Mia». Slowhand strappa le corde senza plettro, con una delicatezza che non è di questo mondo.

La voce di Daniele – che, da ragazzo intelligente, è consapevole e riconoscente del miracolo – trasuda commozione blues. Poi Clapton va via e Zio Pino viene raggiunto dalla band per infilare le superclassiche «Tutta ‘nata storia», «Je so' pazzo», «A me me piace ‘o blues» o le più recenti «Dubbi non ho» e «Che male c'è», brani della svolta ital-pop che molti fan della prima ora non gli hanno mai perdonato fino in fondo. Il pubblico di Cava le canta tutte, dall'inizio alla fine, perché a queste latitudini può succedere che il miracolo stia nel fatto che la star sia lui, non l'uomo che folgorò Jimi Hendrix sulla via di Damasco. Ma «Eric Clapton is God» e nell'alto dei cieli non c'è spazio per le bizze da prima donna e le gelosie da mestiere.

Anzi: Slowhand appare compiaciuto, benedice il discepolo regalando al suo pubblico un mini-set che contempla pietre miliari del blues come «Key to the highway», «Hoochie Coochie Man» e «Crossroads», poi richiama Pinuccio sul palco e insieme eseguono «Wonderful Tonight» (di cui Daniele traduce una strofa in italiano) e il tormentone psicotropo «Cocaine», mandando tutti in visibilio. Si chiude con un altro acrobatico duello chitarristico, stavolta con tanto di band: è per «Layla» e sembra quasi che tutto d'un tratto la disputa di fine anni Sessanta tra Manolenta e l'amico-rivale in amore George Harrison per le grazie di Pattie Boyd c'entri qualcosa con Napoli e quello che, all'epoca dei fatti, era poco più che uno scugnizzo. Eggià: Cava non è un posto qualunque. Cava è la valle del miracolo.

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