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Quei camorristi che uccisero Siani

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Quei camorristi che uccisero Siani

  • –Andrea Di Consoli


I veri killer di Giancarlo Siani
Il "caso Siani" si è riaperto. Anche grazie al lavoro del giornalista Roberto Paolo del quotidiano «Roma», che ora ha riorganizzato tutto il materiale in suo possesso sulla morte del giornalista de «Il Mattino» Giancarlo Siani – ucciso dai camorristi del clan Nuvoletta di Marano il 23 settembre 1985 perché offesi da un'insinuazione a proposito dell'arresto dell'alleato Valentino Gionta – nell'inchiesta Il caso non è chiuso. La verità sull'omicidio Siani (Castelvecchi, pagg. 264, € 17,50). Quale sarebbe la novità? Secondo un boss, Giacomo Cavalcanti, autore di un libro-confessione intitolato Viaggio nel silenzio imperfetto, i veri mandanti ed esecutori del delitto Siani furono altri, riconducibili al clan Giuliano di Forcella. Paola, dopo lungo lavoro, arriva a queste conclusioni: «Siamo arrivati a identificare con nome e cognome i possibili killer a cui si riferiva Cavalcanti nelle persone di Paolo Cotugno e Sandro Apostolo, entrambi sicari al soldo dei Giuliano ed entrambi deceduti». Capitolo chiuso?
Quella di Carminati è una vera mafia? Con Mafia capitale (La Nuova Frontiera, pagg. 128, € 10,00) Giampiero Calapà allestisce un agile instant book che ben sintetizza l'inchiesta sulla cosiddetta mafia romana, restituendone volti, affari e collusioni. Ma l'aspetto più interessante del libro, dopo la bufera mediatica un po' troppo emotiva delle ultime settimane, è nelle riflessioni laterali del libro: nell'introduzione di Gian Carlo Caselli (che ammonisce quanti minimizzano la mafiosità del sistema Buzzi-Carminati) e nell'intervista finale a Enzo Ciconte, il quale, in opposizione alla tesi di Salvatore Lupo, che sul «Foglio» aveva negato la natura mafiosa dei crimini denunciati dalla Procura di Roma, afferma di non essere d'accordo con lo storico perché «se fosse vero questo ragionamento oggi la mafia esisterebbe solo in Calabria, neppure in Sicilia, perché i siciliani per paura dei pentiti hanno cancellato i riti di affiliazione». Qual era il ragionamento di Lupo, affidato alle puntuali domande di Salvatore Merlo? Eccolo: «La mafia, nella sua qualità di fenomeno storico, antropologico e sociale, non c'entra niente con l'organizzazione criminale romana di cui tanto si parla in questi giorni». Insomma, chi ha ragione? Pignatone, Caselli e Ciconte, oppure Ferrara, Merlo e Lupo?
Il petrolio in Basilicata
Sono quindici anni che in Basilicata si estrae petrolio: 25 pozzi installati nella Valle dell'Agri dai quali si ricava il 5% del fabbisogno nazionale e che rappresenta l'80% della nostra produzione petrolifera. Ma i problemi sono tanti: finanziari (le royalties troppo basse), occupazionali (il petrolio non ha portato sviluppo locale), sanitari (crescono le neoplasie) e antropologici, come ben analizza Enzo V. Alliegro ne Il totem nero. Petrolio, sviluppo e conflitti in Basilicata (Cisu, pagg. 424, € 31,90). Pochi ne hanno parlato, ma nelle scorse settimane migliaia di giovani del movimento "No triv" hanno sfilato per le vie di Potenza gridando la propria contrarietà ai progetti di intensificazione delle estrazioni. La società lucana è lacerata a causa dell'oro nero, e di questa lacerazione dà conto con analisi profonde il libro di Alliegro.
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