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Ritratto ben fatto di Memling

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Ritratto ben fatto di Memling

È buona prassi, quando si deve affrontare un argomento che non ci è del tutto famigliare, consultare seppur rapidamente quel che se ne è scritto. Hans Memling non mi è ignoto e già da giovanissimo, all'università, sapevo bene chi era quel pittore fiammingo: ebbi la fortuna di studiare a Firenze dove, agli Uffizi, ci sono alcuni suoi dipinti e anche uno dei quadri più belli del mondo. Non parlo di un quadro di Memling ma del Trittico Portinari di Hugo van der Goes che Memling conobbe bene a Bruges e col quale ha qualche rapporto di forma e di stile, una partita vinta ai punti, è innegabile, dal van der Goes. Sono andato dunque a riguardarmi il volume di Max Friedländer del 1956 ben tradotto in italiano da una mia vecchia amica, Mina Bacci. La pittura nei Paesi Bassi da van Eyck a Bruegel risale al 1921 ed è la genesi dell'intera opera dello storico d'arte berlinese, allievo e successore di Wilhelm von Bode e il più gran conoscitore dell'antica arte fiamminga, uomo spiritoso e buon scrittore: ben nota ancora ai miei tempi era una sua battuta su uno dei fratelli van Eyck che esiste più nei documenti che in pittura: «Kennen Sie Hubert?», diceva ridacchiando a chi gli proponeva di distinguere le mani dei due fratelli. Da allora le ricerche si sono susseguite a ritmo incalzante e qui conviene ricordare la grande monografia di Dirk De Vos del 1994 con meravigliose foto e un testo molto dettagliato. Ho altri libricini nella mia biblioteca: un vecchio trattatello in francese di Germain Bazin del 1939, la piccola pubblicazione su La Châsse de sainte Ursule del 1978 che è una guida dell'ospedale Saint-Jean di Bruges (e qui ricordo, come fece uno spirito burlone, che il titolo non sta a indicare la caccia di Santa Ursula ma la cassa o reliquiario della santa). Sempre utile resta il catalogo di Memling a cura di Giorgio Fagin pubblicato nei Classici dell'Arte Rizzoli nel 1969 con un bel testo letterario di Maria Corti (poi ripreso dal «Corriere della Sera» nel 2005 con aggiornamenti assai precisi di M. Toffanello). Accumulare libri è sempre utile, come si vede. Con l'occasione mi sono reso conto che è sparito il volume del Panofsky sui pittori fiamminghi che dovrò ricomprare: è un libro, ricordo, bellissimo.
Hans Memling morì a Bruges nel 1494, trent'anni dopo da quando era diventato cittadino di quella che era allora sede dei duchi di Borgogna. Memling era tedesco però, nato, a quanto si è scoperto, in una cittadina non lontano da Francoforte. Probabilmente già molto giovane era stato allievo a Bruxelles di Rogier van der Weyden, un apprendistato che non è documentato fino in fondo o, per dirla con le parole della nostra guida, «due artisti all'opposto, come temperamento; essi non sono legati affatto l'uno all'altro da un'intima affinità». I paragoni non sempre servono a farci capire discepolo e allievo o due entità molto diverse come quelle di cui si parla. Il senso della vita, e dunque dell'arte, di Rogier è all'opposto di quello del Memling, calmo, statico, quasi serafico: «Il suo occhio felice non ha mai scorto il lato più scuro della natura umana». Quest'ultimo asserto può far sorgere qualche dubbio: se si osserva la parte infernale del Giudizio Finale oggi a Danzica si converrà che l'angelico cittadino di Bruges sa ideare diavoli e atti di disumana violenza con grande vivacità e dunque sa convincere nel male così come nel bene. Resta comunque innegabile che la sua calma, i suoi sentimenti delicati, forse un tantino edulcorati, sono il suo tratto distintivo. Rogier no, Rogier è un passionale, un uomo che vede più il lato patetico che quello impassibile della natura. Nella Discesa dalla Croce del Prado la Vergine piange lacrime vere su un volto d'avorio tornito come una scultura medievale e diventa commovente. Tutte queste parole, forse ricercate, stanno a indicare soprattutto che il maestro fu più bravo dell'allievo: non solo per passione o per senso tragico delle cose ma per la sua straordinaria capacità artigianale uguagliata (forse superata) soltanto da van Eyck che fu il primo e maggiore pittore delle Fiandre.
Quando si parla di Bruges oggi si pensa a una cittadina appartata, percorsa da canali malinconici; Bruges la morte, la chiamò Rodenbach. Ma nel Quattrocento era una città ricca, fiorente di commercio e di traffici marittimi grazie al suo collegamento col mare. Era anche uno dei centri finanziari d'Europa, sede di banche importanti, prima delle quali quella dei Medici. I direttori associati alla banca medicea furono anche grandi mecenati e il loro nome ci è ben noto. Angelo Tani finanziò il grande Giudizio Finale di cui si diceva, forse il capolavoro del Memling. Era destinato alla Badia Fiesolana ma, deciso di mandarlo in Italia via mare, la nave che lo conduceva venne presa dai pirati anseatici e il capolavoro fu destinato a Danzica dove tuttora si trova. Doveva comparire nella mostra di Memling a Roma ma inopinatamente il governo polacco ha cambiato idea. Lo vediamo solo in belle fotografie.
Nella fiorente Bruges uno dei generi più amati della pittura era la ritrattistica: nel 1432 Jan van Eyck eseguì uno dei capisaldi di questo genere, I coniugi Arnolfini: il marito era un banchiere lucchese ma qui lo vediamo nell'intimità della sua stanza con la timida moglie, circondato da oggetti famigliari come gli zoccoli di legno, il cagnetto e il più famoso specchio della storia del l'arte, una luce convessa che riflette per magia quel che accade in quell'ambiente. Hans Memling fu il ritrattista preferito dai ricchi commercianti della città e fornito di quelle doti che assicurarono nei secoli il successo di van Dyck, di Reynolds o di Batoni, piacque straordinariamente soprattutto agli italiani che vivevano a Bruges. Sono ritratti che rivelano molto di più sui personaggi di quanto possa apparire a un primo sguardo. Di piccolo formato, essi appaiono inconfondibili, per mezzo di regole intuitive e aiutati dall'ambientazione in paesaggi struggenti. Riflettono il leggero senso di malinconia che ben si adeguava a un mondo via via più insicuro, la fine del Ducato di Borgogna.
Il rapporto di queste effigi con l'arte italiana è stato ben studiato nella presente occasione ma è difficile stabilire un equilibrio del dare e dell'avere fra Italia e Fiandra. Risultano assai convincenti alcune vicinanze con pittori italiani come quella col Ritratto di Francesco delle Opere dovuto a Pietro Perugino, datato al 1494, anno di morte di Memling. L'impostazione del paesaggio, la posizione delle mani in primo piano, lo sguardo pensieroso rendono ovvio questo rapporto. Le relazioni fra due scuole apparentemente molto diverse sono complesse ma inconfutabili e ciò si spiega proprio con gli interessi e il mecenatismo dei banchieri fiorentini. Abbiamo già detto del Trittico Portinari agli Uffizi che non può non aver cambiato il sentire dei pittori toscani dell'epoca. L'autore del trittico, van der Goes, diventa un esempio per Memling ma anche per l'intera pittura toscana. D'altra parte Tommaso Portinari e suo nipote Benedetto si fecero ritrarre squisitamente dal Memling: le effigi di Tommaso e della moglie Maria Baroncelli sono al Metropolitan Museum, quella di Benedetto, agli Uffizi. Il ritratto fiammingo resta uno dei punti più alti dell'arte europea: come non pensare infine alle figure incantate di una altro pittore che fu a Bruges in quelli stessi anni, Petrus Christus? Ricordo le parole di Roberto Longhi su una sua opera, il «miracoloso ritrattino di donna a Berlino, quasi una Gioconda del nord».
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Memling. Rinascimento fiammingo, Roma, Scuderie del Quirinale; fino al 18 gennaio. Ottimo catalogo a cura di T. H. Borchert (Skira, pagg. 250, € 38,00), riccamente illustrato, con diversi saggi originali, biografia, bibliografia ma, purtroppo, senza indice dei nomi