Cultura

Trasparenza per il dialogo

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Trasparenza per il dialogo

  • –Gianfranco Ravasi

Un paio d'anni prima della sua morte, avvenuta nel 1994, ho avuto l'occasione di incontrare Franco Fortini e curiosamente scoprii un suo vivo interesse – sorprendente in un "laico" così netto, anche per la sua matrice culturale – per la figura e l'opera di Simone Weil. Ne conosceva profondamente persino la dimensione mistica, per altro inscindibile dalla finissima sua razionalità. Fu così che una volta il discorso cadde su uno dei suoi scritti più incisivi, L'ombra e la grazia del 1947, e su un passo in particolare che vorrei ora citare integralmente nella versione pubblicata da Bompiani nel 2002: «L'uso della ragione rende le cose trasparenti allo spirito. Ma non si vede ciò che è trasparente. Si vede, attraverso il trasparente, quel che è opaco, celato quando il trasparente non era trasparente... Pulire la polvere serve solo a vedere il paesaggio. La ragione deve esercitare la sua funzione solo per giungere ai veri misteri, ai veri indimostrabili che sono il reale... La scienza, oggi, o cercherà una fonte di ispirazione al di sopra di se stessa o perirà».
Questa intuizione un po' paradossale, tra le tante di Simone, giustifica una prassi che si sta sempre più diffondendo rispetto al passato e ad alcuni epigoni ancor oggi attivi, cioè gli apologeti irriducibili della scienza o della teologia, racchiusi nelle loro fortezze autosufficienti, che hanno in "gran dispitto" chi sta fuori dell'una o dell'altra. Si tratta, cioè, del dialogo tra scienziati e teologi, laddove, però, il termine "dialogo" conservi il suo valore etimologico e non scada in un concordismo meramente strategico alla maniera politica per cui persino le "convergenze" possono essere "parallele". In greco, infatti, dià- significa sia il confronto tra due lógoi diversi ma epistemologicamente corretti, sia lo scavo giù, nella profondità del lógos in questione.
Detto in altri termini, non si abbatte il celebre Noma, propugnato da Stephen Gould, dei due Non-Overlapping Magisteria, ossia della non-sovrapponibilità dei due percorsi autonomi della conoscenza filosofico-teologica e dell'analisi empirico-scientifica, ma si riconosce l'importanza di entrambi per una comprensione "simbolica" dell'essere e dell'esistere. E, come è noto, il simbolo può contenere in sé anche estremi dialettici. Che la scienza si interessi del fenomeno e quindi della "scena" non esclude che altri approcci – il filosofico, l'artistico, il teologico – si dedichino al fondamento e al senso ulteriore della realtà. Il teologo non chiederà, perciò, allo scienziato di dimostrare l'esistenza dell'anima o di Dio, a meno che si tratti di qualche apologeta "teo-con", parallelo a certi scienziati alla Dawkins o alla Dennett che, senza imbarazzo, sono convinti di poter confutare asserti filosofico-teologici con la loro strumentazione argomentativa di taglio scientifico.
Come diceva il vecchio Schelling, «ciascuno custodisca castamente la sua frontiera», ma ricordi anche che il suo territorio non esaurisce ogni estensione e il suo scavo non scruta ogni profondità. Il vento cristallino della trasparenza scientifica, per usare la metafora della Weil, non esclude che siano rilevanti altri sguardi. Anzi, nell'unicità della persona e nella stessa coscienza unificante dell'individuo può coesistere una pluralità distinta ma non separata di itinerari gnoseologici dalle grammatiche diverse ma capaci di comporsi in un'armonia plurale. Detto in altri termini più diretti, una persona può essere sia scienziato sia credente e la storia è colma di simili testimonianze (per stare agli ecclesiastici scienziati, basti citare Copernico, Cusano, Mendel, Spallanzani, Torricelli, Mercalli, Lemaître eccetera). Queste considerazioni molto semplificate vogliono solo introdurre a uno dei tanti esempi di "dialogo" serio e non comparativistico-concordistico tra uno scienziato e un teologo.
È il caso del confronto tra uno zoologo, Ludovico Galleni, e un teologo dogmatico, Francesco Brancato, attorno a una questione che in passato era il nodo rovente dell'incrocio e dello scontro tra le due discipline, l'evoluzione. Il teologo catanese aveva già intrecciato un duetto con un astrofisico, Piero Benvenuti, per una discussione più globale di indole cosmologica (Contempla il cielo e osserva, edito dalla San Paolo nel 2013). Ora è l'antropologia a essere coinvolta, ed è significativo che lo scienziato presenti per primo il suo status quaestionis con una netta affermazione: «L'evoluzione è ormai un dato acquisito nel carniere della conoscenza umana». Tra l'altro, è curioso che Galleni abbia una particolare simpatia per Teilhard de Chardin, scienziato ma pure gesuita e teologo, che visse senza imbarazzo questa duplicità, anche se – a mio avviso – non sempre «custodendo castamente la frontiera».
Il teologo Brancato accoglie il dato offerto dallo scienziato e lo adotta persino come cifra dell'intero universo. Il suo è, però, un percorso ulteriore, consapevole comunque che la scienza moderna ha offerto al credente un'immagine inedita rispetto a quelle da cui partiva la ricerca religiosa precedente. Le domande di base alle quali cerca di rispondere sono allora queste: «Come bisogna proporre oggi, in modo nuovo, ciò che la teologia, illuminata dalla Scrittura e posta nella viva tradizione della Chiesa, dice dell'uomo e del mondo? Come parlare dell'uomo – non solo: come parlare di Dio – nell'età della scienza?». È in questa prospettiva che la teologia non accantona ma ripropone in una nuova declinazione il suo paradigma sistematico che comprende categorie come la causalità prima e la finalità ultima, l'anima e il simbolo, l'uomo nel mondo e oltre il mondo, il tempo e l'eterno, lo spazio e l'infinito e così via.
È indubbio che l'identità e l'unicità dell'oggetto considerato sia dallo scienziato sia del teologo possa creare nelle due analisi sconfinamenti o tensioni, sovrapposizioni e discrasie. L'importante è che ci sia il rispetto di fondo delle autonomie e una dose di reciproca umiltà per cui si bandiscono le illusioni onnicomprensive e totalizzanti. La scienza apre e percorre itinerari in panorami mirabili; la teologia da essi può avviare altri percorsi verso un oltre che non deve ignorare né tanto meno può negare le tappe delineate dalla scienza. Le due ricerche non sono tra loro esclusive ma neppure tra loro repellenti o repulsive e alla fine entrambe permettono di comprendere meglio l'uomo e il mondo.
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Francesco Brancato con Ludovico Galleni, L'atomo sperduto. Il posto dell'uomo nell'universo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano),
pagg. 220, € 20,00
Si veda anche F. Asti - E. Cibelli edd., Scienza e fede in dialogo, Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, Napoli (Viale Colli Aminei, 2), pagg. 284, € 20,00